Ecco perché i colossi del Web puntano su Londra
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Ecco perché i colossi del Web puntano su Londra

Ecco perché i colossi del Web puntano su Londra

 Facebook e Google logo (Afp)
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  • Il pugno duro di 'The Donald'. Ma non è certo questa la ragione principale per il quale i colossi di internet hanno tutta l'intenzione di rafforzare il ruolo di Londra come una delle capitali mondiali della tecnologia. I motivi più rilevanti (e che hanno portato sia Cupertino sia Menlo Park a due importanti annunci in tempi così ristretti) sembrano essere altri: l'elezione di Donald Trump e la stretta regolamentare in corso in Europa. L'ostilità dell'industria di internet alla candidatura alla Casa Bianca dell'immobiliarista newyorchese era stata palese sin dalla sua discesa in campo, quando Bezos (poi uno dei primi top manager a fargli i complimenti su Twitter il giorno dopo le elezioni) ribadì la sua intenzione di "mandarlo nello spazio". La campagna elettorale Usa è stata giocata più sui diritti civili e le questioni identitarie che sulla politica economica, scelta poi rivelatasi fatale per i Democratici. Naturale che gli ad delle maggiori società tecnologiche, quasi all'unanimità di orientamento progressista, dessero il loro 'endorsement' a Hillary Clinton. Parliamo di un settore che due anni fa vide il numero uno di Mozilla, Brendan Eich, costretto a dimettersi perché era stato scoperto che, alcuni anni prima, aveva donato mille dollari alla campagna per il 'no' al referendum sui matrimoni gay in California. Così come è noto l'appoggio di Zuckerberg al movimento "Black Lives Matter", nato soprattutto grazie ai social network. La radice principale dell'anti-trumpismo della Silicon Valley è però, come ovvio, di matrice economica. Per quanto sia difficile capire quanto del programma elettorale di Trump verrà attuato, quel che è sicuro è che le grandi aziende del digital sono quelle che rischiano più grosso e che meglio vedrebbero la proposta di secessione della California della quale si discute tanto, tra il serio e il faceto, in questi giorni. Prima di tutto, Trump ha promesso pugno duro contro le società che approfittano un po' troppo di quella che viene definita, con un eufemismo, "ottimizzazione fiscale", ovvero la pratica di spostare la sede fiscale in una nazione compiacente, che consenta magari di pagare la maggior parte delle tasse alle Bahamas o alle Cayman.
  • L'intransigenza contabile della Ue. La patria d'elezione dei signori della rete divenne presto Dublino, che consentiva tali disinvolte pratiche grazie alla famigerata triangolazione contabile denominata 'Double Irish with Dutch Sandwich'. In tempi di austerità obtorto collo, avere un paradiso fiscale di fatto nel cuore della Ue non è molto sostenibile dal punto di vista politico. Lo scorso 30 agosto la Commissione Europea scelse quindi la linea dell'intransigenza ingiungendo ad Apple di risarcire l'Irlanda con 13 miliardi di euro, più gli interessi, per aver beneficiato di un accordo fiscale illegittimo, che consentiva all'azienda di pagare un'aliquota dello 0,005% invece del normale 12,5%. Questo mese abbiamo invece assistito a un nuovo episodio della lunga diatriba tra l'Antitrust Ue e Google, accusata di abuso di posizione dominante. E, se la tensione sale sia a Washington che a Bruxelles, rimane un solo cavallo su cui puntare: Londra.
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