Pechino, 25 nov. – Le autorità cinesi stanno considerando l'ipotesi di rilasciare "per motivi di salute" l'attivista cinese Zhao Lianhai, padre di uno dei 300mila bambini intossicati nel 2007 dal latte prodotto dall'azienda Sanlu. Zhao è stato arrestato nel novembre del 2009 con l'accusa di aver "causato gravi disturbi" all'ordine pubblico (leggi questo articolo). Per lui però, proprio in queste ore, si apre lo spiraglio di un rilascio anticipato rispetto alla condanna a due anni e mezzo di prigione emanata dal tribunale cinese, grazie alle pressioni esercitate su Pechino dal governo locale di Hong Kong.
Ventotto deputati della regione amministrativa speciale di Hong Kong hanno infatti presentato all'Assemblea Nazionale del Popolo, massimo organo legislativo della Cina, un'istanza di scarcerazione per Zhao Lianhai, preoccupati per le ripercussioni del caso sul panorama politico cinese. L'iniziativa arriva dopo un'escalation di aspre critiche nei confronti delle autorità centrali sia da parte di media e società civile cinesi, sia dall'estero. Se, da un lato, l'eventualità che il governo arretri parzialmente dalla propria posizione fa ben sperare sulle capacità persuasive del cittadini su Pechino, dall'altro lascia perplessi sulla legalità del sistema giudiziario in Cina.
E' inusuale infatti che, per fare giustizia su un caso di violazione della libertà d'espressione, si scomodino le forze politiche. Il ricorso al processo d'appello suonerebbe come la via più naturale verso la libertà per un detenuto come Zhao. Invece la realtà mostra come i diritti individuali in Cina seguano ancora una particolare logica applicativa: ai legali di Zhao era stato prima negato l'accesso al carcere per i colloqui settimanali (previsti dalla legge) e in seguito era stata comunicata loro la notizia di essere stati sollevati dall'incarico. Oltre a questo, ci sono dubbi sulle modalità di archiviazione delle prove presentate durante il processo di primo grado (vale a dire i comunicati di protesta diffusi da Zhao sull'oscuramento del caso del latte contaminato, le testimonianze dei genitori delle altre vittime raccolte negli anni dall'imputato e altri dati contenuti nel suo computer personale).
La notizia della possibilità di un rilascio anticipato di Zhao Lianhai "per motivi di salute", secondo quanto scrive South China Morning Post, edito a Hong Kong, apre la strada a nuovi scenari. Se Zhao accettasse di rinunciare al ricorso in appello in cambio della libertà sulla parola, questa sarebbe la prova della pressione che le autorità stanno esercitando su di lui. Un rilascio di questo tipo infatti non chiarirebbe la sua posizione agli occhi della giustizia, come potrebbe fare invece un processo d'appello. Intanto neppure alla moglie è stato permesso di incontrare il detenuto né tanto meno è chiaro dove sia incarcerato in questo momento. Per SouthChina Morning Post, le autorità centrali stanno cercando di manomettere il processo, nella speranza, forse, che nel frattempo si spengano i riflettori sulla faccende e si calmino le acque.
In questa vicenda, l'elemento più innovativo è probabilmente il ruolo giocato dalla comunità di Hong Kong. Grazie all'iniziativa dei ventotto deputati, infatti, hanno avuto la facoltà di parola su questa vicenda anche l'ordine degli avvocati e l'associazione dei giuristi cinesi. Che la consapevolezza del proprio potenziale comunicativo stia crescendo anche tra i cinesi residenti fuori da Hong Kong è stato dimostrato pure dal raduno di 10mila persone sul luogo dell'incendio del grattacielo di Shanghai dello scorso 15 novembre. Una folla così numerosa di gente raccolta sul luogo di un disastro del genere non è stata attirata solo dal desiderio di commemorare le 53 vittime, ma anche dalla volontà di palesare il proprio malcontento per una strage che poteva essere evitata. Sempre South China Morning Post sottolinea come manifestazioni del genere non sarebbero state tollerate in passato e si chiede se questo non sia un sintomo del cambiamento dei tempi.
Ma se i riflettori sono ora puntati su questo protagonista, ce n'è un altro che rimane nell'ombra. Fan Yafeng, ex ricercatore di Diritto cinese presso la prestigiosa Accademia delle Scienze Sociali, continua ad essere vittima di vessazioni e intimidazioni da parte delle forze dell'ordine. Solo un paio di giorni fa lo studioso è stato prelevato da casa sua e condotto alla stazione della polizia per essere interrogato. È stato trattenuto per cinque ore, fino a tarda notte, insieme alla moglie e il figlio di tre anni.
Se la colpa di Zhao Lianhai è quella di voler parlare delle vittime del latte alla melamina, qual è quella di Yan Yafeng? L'ex ricercatore – licenziato l'anno scorso in seguito ai primi guai giudiziari – è un attivista per i diritti umani, nonché cristiano. Ma la sua colpa più grande, quella per la quale viene ripetutamente convocato dalla polizia, tenuto agli arresti domiciliari e minacciato di arresto, è probabilmente quella di essere uno dei firmatari di Charta 08, il manifesto democratico promesso da Liu Xiaobo, cui è stato conferito il Nobel per la pace solo pochi giorni fa (leggi questo articolo). Certo i motivi per cui il governo potrebbe trattenerlo in carcere sono molti: organizzazione di manifestazioni a favore della libertà di espressione, abitudine a ospitare in casa le funzioni religiose cristiane della domenica, la direzione di una rivista che pubblicizza le sue idee "reazionarie". Il suo legame con Liu Xiaobo sembra in ogni caso essere la ragione principale per cui lui e altre decine di intellettuali vengono costantemente tenuti d'occhio dallo scorso 8 ottobre, data della decisione di conferire il Nobel al più famoso dissidente cinese.
di Melania Quattrociocchi
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