Pechino, 17 set.- La disputa sullo yuan? Se ne parlerà al prossimo summit G20, in programma a Seul a novembre: lo ha dichiarato ieri il segretario del Tesoro USA Timothy Geithner al termine degli incontri con il Congresso per discutere le proposte in merito ad eventuali sanzioni da applicare ai prodotti cinesi. "L'amministrazione Obama non appoggia la bozza della norma redatta dalla Camera dei Rappresentanti, una versione più severa di quella del Senato - ha detto Geithner - e imporrebbe sanzioni anche su paesi con valute 'disallineate dal reale valore di mercato'. Ma la stiamo valutando, e vogliamo essere sicuri che sia compatibile con le regole dell'Organizzazione Mondiale del Commercio". Geithner, tuttavia, ha affermato di voler cercare sulla questione ulteriori appoggi internazionali proprio in sede G20, provando a mobilitare i partner commerciali USA ed esporre poi una linea comune di fronte alla Cina. Lo scontro sulla valuta cinese prosegue da mesi. Lo yuan-renminbi, com'è noto, è una moneta non convertibile: tra il 2005 e il 2008 la Banca centrale aveva consentito una graduale rivalutazione della divisa, interrotta poi all'emergere della crisi globale con il ritorno all'ancoraggio con il dollaro.
La misura aveva attirato le critiche di Washington e Bruxelles, che accusano Pechino di mantenere artificialmente basso il valore della sua moneta: uno yuan sottostimato è capace di garantire alle merci cinesi un vantaggio sleale sui mercati internazionali e contemporaneamente sbarrare le porte dell'immenso mercato del Dragone ai beni stranieri. La riforma del giugno scorso - che ha condotto finora ad un apprezzamento dell'1.25% sul biglietto verde - sembra lasciare comunque insoddisfatti gli agguerriti parlamentari USA: i democratici chiedono al Congresso di approvare la Currency Reform for Fair Trade Act, una proposta di legge che obbligherebbe il Dipartimento del Commercio a trattare le "valute manipolate" alla stregua di un sussidio vietato dal trattato della World Trade Organization, con tutte le conseguenze del caso. I legislatori americani puntano all'approvazione prima del 2 novembre prossimo, quando si apriranno le elezioni di midterm nelle quali il Congresso dovrà affrontare un'opinione pubblica scossa dall'aumento della disoccupazione. Nonostante le manovre dell'ultima settimana possano essere lette come un segnale di distensione - la Banca Centrale cinese ha fissato il tasso di parità centrale dello yuan a quote sempre più alte - Pechino ha sempre respinto al mandante le critiche sostenendo che non accetterà pressioni straniere sul cammino di riforma della valuta, e che un apprezzamento troppo repentino potrebbe condurre nel paese un afflusso di capitali speculativi talmente imponente da creare gravi distorsioni all'economia cinese. L'ultima risposta risale a ieri: "Gli Stati Uniti stanno utilizzando la Cina come capro espiatorio - ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Jiang Yu - e una rivalutazione dello yuan non può risolvere né il disavanzo commerciale americano verso Pechino, né il problema della disoccupazione in America. Esercitare pressioni non conduce a una soluzione. Anzi, potrebbe avere un effetto contrario".
di Antonio Talia
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