Roma, 22 giu. – Pechino ha abbassato oggi il tasso di cambio di riferimento dello yuan a 6,7980 sul dollaro. Il tasso di riferimento è quello attorno al quale la moneta cinese può oscillare su valori non superiori allo 0.50%. Ieri il punto medio di oscillazione era stato lasciato invariato a 6,8275, lo stesso livello di venerdì scorso, una decisione che aveva urtato il Congresso americano. La mossa di oggi rappresenta di fatto un apprezzamento dello yuan e confermerebbe la volontà di Pechino di procedere a un graduale rivalutazione della valuta. Tuttavia sui mercati lo yuan ha perso lo 0,26% a 6,9157 sul dollaro, diffondendo il sospetto che il governo cinese volesse rafforzare ulteriormente la valuta. Al clima di nervosismo ha contributo a metà giornata anche l'acquisto massiccio del biglietto verde da parte delle banche statali cinesi, un'azione "aggressiva" che confermerebbe il fermo controllo della autorità cinesi sulla gradualità della manovra.
La decisione della Cina di rendere gradualmente più flessibile il cambio del Renminbi sul dollaro (al quale era stato riagganciato con un cambio fisso nel 2008), se da un lato potrebbe essere il segnale che l'economia mondiale è prossima a sollevarsi dalla recessione, dall'altro semina scetticismo sulle reali intenzioni della Cina di apprezzare la valuta. Gli analisti prevedono una rivalutazione dello yuan fino a 6,67 sul dollaro entro la fine dell'anno; la Banca centrale potrebbe ancorare lo yuan a un paniere di valute reintroducendo delle bande di fluttuazione, una mossa che prima della crisi aveva comportato la rivalutazione del Renminbi del 20% sul dollaro in tre anni.
Nei mercati esteri regna però un clima di incertezza, e Stati Uniti in primis non sembrano pronti a ritenere ovvio l'avvio della riforma.
Cosa è accaduto nei giorni scorsi? Sabato il governo cinese ha annunciato che renderà il tasso di cambio del Renminbi più flessibile rispetto al dollaro. Il giorno dopo è stato diffuso un nuovo comunicato della Banca centrale che si è affrettata a smorzare l'euforia inizialmente dilagata nei mercati esteri, adottando quella che è apparsa una strategia stop and go sulla moneta: la rivalutazione dello yuan "non avverrà tutta in una volta". La riforma sarà graduale, la stabilità della moneta verrà preservata, e non vi saranno alterazioni nella linea di governo. Nonostante l'atteggiamento prudenziale con cui Pechino ha calibrato l'annuncio di una riforma molto attesa, nella giornata di lunedì la prospettiva di uno yuan flessibile è stato aria per i polmoni affaticati della finanzia internazionale. Nel corso della stessa giornata, tuttavia, è giunta la decisione della Banca centrale di fissare il punto medio della banda di oscillazione consentita allo stesso livello di venerdì scorso, ossia 6,8275. La mossa non ha però impedito al valore dello yuan di raggiungere il picco più alto degli ultimi due anni: lunedì la valuta cinese ha chiuso a 6,7960 sul dollaro, un aumento dello 0,47% rispetto al valore di venerdì (6,8262). Questo apprezzamento avrebbe indicato che la frenata di domenica non è stata un vero contrordine, ma un ammonimento al mondo – "la Cina assume impegni pubblici vincolanti solo per se stessa", come si legge sul Corriere della Sera –, e una rassicurazione all'opinione pubblica – la riforma non sarà un salto nel buio. Un aumento "tollerato" dalla Banca centrale che sembra non abbia intenzione di intervenire sul tasso di cambio purché l'oscillazione non superi lo 0,5%. Dopo la decisione di fissare un "massimo consentito", non si è fatta attendere la dura reazione del Congresso americano. Il senatore democratico Schumer ha preannunciato nuove restrizioni sulle importazioni cinesi, mentre il segretario del Tesoro Geithner sabato pomeriggio ha definito la mossa cinese "un importante passo in avanti, ma dobbiamo aspettare di capire in che modo e quanto velocemente Pechino apprezzerà la sua moneta".
Lo yuan, che è una valuta non convertibile, era tornato di fatto all'ancoraggio col dollaro nel luglio 2008, dopo un periodo di tre anni nel quale era stato lasciato fluttuare all'interno di parametri rigorosi ma più ampi. Da tempo Washington, che ritiene la moneta sottostimata, e pertanto capace di garantire un vantaggio sleale al commercio estero del Dragone, sta cercando di convincere Pechino della necessità di una rivalutazione al fine di riequilibrare la bilancia commerciale cinese con il resto del mondo; USA in primis, ovviamente.
La mossa, giunta in modo inaspettato, può ridurre la pressione internazionale alla vigilia del G20 di Toronto che si svolgerà il 27 e il 27 giugno?
"E' sbagliato aspettarsi un cambiamento significativo" dice ad AgiChina24 Lorenzo Stanca, economista, Managing Partner del Fondo Mandarin e Presidente del Gei. "L'obiettivo numero uno per la Cina rimane quello di tutelare l'export cinese e garantire la stabilità sociale. L'eliminazione del peg automatico non vuol dire che la Cina sia pronta a una immediata rivalutazione della moneta. Il disancoraggio dal biglietto verde farà sì che a un eventuale indebolimento del dollaro non seguirà un rafforzamento dello yuan rispetto all'euro. Se l'annuncio della riforma del cambio ha già avuto un impatto sulle valute asiatiche che si sono apprezzate rispetto al dollaro, l'impatto sull'euro è e sarà limitato. I recenti movimenti della valuta europea sono legati a una crisi interna". Se diverse aziende italiane festeggiano l'annuncio di uno yuan più flessibile come una benedizione, non pochi esperti consigliato di moderare l'entusiasmo, escludendo che la manovra cinese possa avere un impatto significativo sul Made in Italy "Non mi aspetto cambiamenti epocali", sostiene Stanca "Non credo che la Cina apprezzerà lo yuan in modo tale da modificare l'export. Prevedo un apprezzamento del 2-3% entro la fine dell'anno. L'andamento del Made in Italy sono legate alla svalutazione dell'euro su cui, come abbiamo detto, la politica del cambio cinese non ha diretta influenza. In generale, le aziende italiane sono abbastanza scettiche sulla possibilità che la valuta cinese venga apprezzata realmente. Con questa mossa, la Cina si toglie di dosso la pressione internazionale. Ma la vera rivoluzione sarebbe la convertibilità dello yuan, una manovra che al momento appare inverosimile".
Le previsioni di Stanca sembrano essere confermate dalla posizione ufficiale assunta dalla Banca centrale. "Come accaduto nei vertici precedenti, non penso che la questione dello yuan sia all'ordine del giorno", ha dichiarato il direttore del dipartimento internazionale della PBOC, Zhang Tao, escludendo che il tasso di cambio della valuta cinese possa essere oggetto di discussione al prossimo G20.
Se la rivalutazione dello yuan è uno strumento negoziale in un tavolo in cui le partite da giocare sono molte – dossier Iran, Nord Corea, il caso Google, la vendita delle armi a Taiwan, i casi anti-dumping, ecc. -, è indubbio che l'annuncio di sabato si configura in un'ottica cinese come la mossa giusta al momento giusto. Soprattutto perché risponde all'esigenza prioritaria del governo cinese di traghettare il Paese fuori dalla crisi e trasformare il modello di crescita economica. Un tasso di cambio flessibile, come si legge nel comunicato diffuso dalla Banca centrale, rafforzerà il settore terziario e l'autonomia dell'industria cinese, riducendo il surplus commerciale e la dipendenza del Paese dalle esportazioni. Un tasso di cambio flessibile, inoltre, consentirà una migliore gestione delle spinte inflazionistiche, ridurrà il rischio di bolle speculative e andrà a creare un contesto internazionale più favorevole per la Cina. I segnali di ripresa provenienti dagli Stati Uniti e dall'Eurozona sono incoraggianti e costituiscono un incentivo all'apertura. "E' il momento giusto per avviare la riforma in quanto la Cina si muove all'interno di una ripresa economica forte in cui appare improbabile l'avvento di una seconda recessione mondiale", sostiene Li Daokui, membro del comitato monetario della Banca centrale.
Probabilmente l'annuncio a intermittenza della riforma monetaria riflette il cambio di manovra: la Cina abbandona la politica "in modalità crisi" sul tasso di cambio per tornare "gradualmente" su binari di normalità?
di Alessandra Spalletta
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