Pechino, 16 dic. - Ai negoziatori riuniti a Copenaghen rimangono tre giorni, il count-down è iniziato. E il monito del Segretario Generale delle Nazioni Unite è giunto puntuale. Ieri, all'apertura della sessione plenaria alla presenza di tutti i ministri, Ban Ki-moon ha ricordato che: "ci si trova di fronte ad un momento significativo per la storia. Sappiamo cosa dobbiamo fare e cosa si aspetta il mondo. Il nostro compito è siglare un patto globale nell'interesse comune". Un appello che trova riscontro nelle parole della presidentessa della Conferenza, la danese Connie Hedergaad che ha affermato: "non possiamo fallire. Nessuno può avere una simile responsabilità. Nei prossimi due giorni la parola chiave deve essere compromesso". Ma se da un lato si richiama la necessità di trovare un accordo, dall'altro "Cina e Stati Uniti, i due paesi che da soli contribuiscono alla metà delle emissioni globali, sembrano poco inclini ad abbandonare le proprie posizioni e mettere in discussione le proprie, volontarie, proposte di taglio alle emissioni". Ricordiamo che il Dragone è giunto al vertice di Copenaghen promettendo tagli alla propria 'intensità carbonica' del 40-45% entro il 2020 rispetto ai livelli di emissioni registrati nel 2005 e che il Presidente Barack Obama si è impegnato per tagli del 17% entro il 2020 rispetto ai parametri del 2005. "I due colossi sembrerebbero invece inclini a lasciare aperta ogni opzione fino all'ultimo istante della conferenza" ha dichiarato Andreas Carlgren, Ministro dell'Ambiente svedese e rappresentante dei 27 paesi membri dell'Unione Europea al summit. Yu Qingtai, rappresentante speciale per i negoziati sul cambiamento climatico inviato da Pechino, già un paio di giorni fa aveva affermato che "alcuni paesi ricchi avevano promesso tagli alle proprie emissioni, ma quest'ultime invece di ridursi sono aumentate, senza che ne seguisse una presa di coscienza. I paesi sviluppati dovrebbero riflettere se nel rispondere alla sfida del cambiamento climatico stanno mantenendo la parola data e agendo in modo risoluto". Sempre tramite il portavoce di Pechino, la Cina ha fatto sapere di essere ostile all'introduzione delle "carbon tariffs", idea che era stata ventilata da Stati Uniti e Unione Europea. Secondo le dichiarazioni rilasciate da Yu Qingtai: "la Cina si oppone a qualunque Paese che, sfruttando il pretesto della protezione del pianeta, innalza delle barriere protezionistiche nel commercio internazionale". E questo perché: "nel corso di una negoziazione multilaterale, tentare di risolvere un problema attuando provvedimenti commerciali unilaterali non può rivelarsi vincente; la storia ha dimostrato che il protezionismo commerciale non colpisce soltanto i Paesi promotori, ma anche quelli che ne sono oggetto". La risolutezza di queste dichiarazioni indurrebbe a credere che la posizione della delegazione cinese sia irremovibile, ma forse non è detta l'ultima parola. In un'altra dichiarazione "interna" rilasciata alla stampa cinese, lo stesso Yu Qingtai aveva infatti sottolineato: "la delegazione cinese è giunta carica di speranze e, nel tempo che ancora rimane prima della chiusura dei lavori, desidera procedere nelle negoziazioni all'unisono con gli altri, mantenendo un atteggiamento aperto e costruttivo, e battendosi per massimizzare il proprio contributo nei confronti del risultato che ci si attende dalla conferenza".