Roma, 18 ott.- Xi Jinping sarà il nuovo vice presidente della Commissione militare cinese. Lo hanno stabilito i 370 alti funzionari del Comitato centrale riuniti a Pechino da venerdì scorso per il V Plenum del Comitato centrale del PCC. E' lecito pensare che Xi Jinping sarà anche il prossimo presidente della Repubblica popolare cinese? La carica di vice presidente della Commissione militare rappresenta una tappa intermedia verso la presidenza; nella consuetudine politica cinese il capo della CMC detiene infatti anche la carica di segretario generale del PCC e di presidente della Repubblica. Il percorso di Xi sarebbe quindi simile a quello di Hu Jintao che (come si legge nel saggio di Marina Miranda all'interno del numero 142 di Mondo Cinese) nel 1999 ottenne la nomina a Vice-presidente della Commissione militare prima di succedere a Jiang Zemin nella triplice carica (Segretario del Partito, Presidente della Repubblica e Presidente della Commissione militare centrale).
Nel 2012 il XVIII Congresso del PCC si compirà un importante ricambio generazionale al vertice: 7 degli attuali 9 membri del Politburo andranno in pensione (le cariche possono essere rivestite per un massimo di due mandati e fino a un massimo di 68 anni; ciò vuol dire che Hu Jintao, Wen Jiabao e sette dei novi membri del Comitato Permanente del Politburo dovranno lasciare il posto a una nuova generazione di leader). Hu Jintao e Wen Jiabao lasceranno quindi le rispettive cariche, e la "competizione" per la successione al potere è iniziata già da tempo. Ma la vittoria odierna di Xi non era così sicura e il timore dei sostenitori del vice presidente della CMC era quello di veder replicati i fatti dello scorso anno, ovvero la mancata nomina nel corso del IV Plenum del Comitato Centrale. Un episodio che era stato interpretato come un segnale di allontanamento dalla consuetudine politica degli ultimi dieci anni (come spiega Marina Miranda all'interno del numero 142 di Mondo Cinese).
E se è vero che il 2012 per Pechino sarà l'anno del cambio della guardia, è anche vero che ciò che avverrà tra due anni lo si decide adesso, nel periodo immediatamente precedente, attraverso una delicata negoziazione tra fazioni. Il consenso poi sembrerà il frutto di una condivisione del pensiero politico. E' ciò che sostengono diversi studiosi come Lucian Pye in The spirit of Chinese politics, secondo cui il PCC fin dalla sua genesi si dibatte in una contraddizione di fondo, che vede opporsi l'unanimismo di facciata imposto dal principio di centralismo democratico (tale per cui al vertice si dibatte, ma, una volta assunte, le decisioni vanno applicate da tutti inflessibilmente) e la realtà sostanziale di un partito attraversato da fazioni a geometria variabile, tenute insieme più da interessi di carriera e reti di conoscenze personali (guanxi) che da una specifica e dichiarata linea politica. Le dinamiche del PCC si basano perlopiù sulla prassi e proprio di prassi si tratta quando si parla della successione alle più alte cariche dello stato.
Alla vigilia del Plenum i pronostici per la successione a Hu Jintao davano per favorito Xi Jinping, il più 'papabile'; Li Keqiang, nonostante sia il pupillo di Hu Jintao, è indicato invece come il successore di Wen Jiabao. La preferenza ha radici nell'opposizione informale tra le due fazioni prevalenti all'interno del PCC: mentre Li fa parte della corrente "populista" – alla guida di Hu Jintao e Wen Jiabao -, Xi fa capo all'ala conservatrice dei "principini" composta da figli di ex membri del PCC (come scrive Marina Miranda ).
"In questa situazione le forze si stanno ormai disponendo in campo da mesi e vedono Xi Jinping come il successore presunto di Hu Jintao alle cariche più alte di Stato e Partito, mentre Li Xiaopeng, erede del tristemente noto Li Peng (tra i principali responsabili del massacro di Tienanmen nel 1989) viene indicato come in via di promozione a ministro. Su un altro fronte i cosiddetti tuanpai, membri della fazione degli attivisti di Partito provenienti dalla Lega della Gioventù Comunista hanno il proprio alfiere in Li Keqiang, dato per successore di Wen Jiabao alla carica di Primo ministro", aveva scritto Giovanni Andornino su AgiChina24 il 7 maggio scorso.
"Se Xi non sarà eletto vice presidente della CMC sarà un segno che tra le file del PCC regna un certo squilibrio e, soprattutto, il disaccordo su chi sarà il leader che dovrà guidare il Paese nei prossimi 10 anni" aveva affermato qualche giorno fa Willy Wo-Lap Lam, docente di storia alla Chinese University di Hong Kong. Nonostante l'alta percentuale di 'successo', a Zhongnanhai, quartier generale del PCC, il 'timore' di un rimescolamento delle carte in gioco è rimasto fino al momento della nomina. Ma il Plenum si è concluso quindi senza grossi colpi di scena e con una sola conferma: la strada che separa Xi dalla presidenza si accorcia sempre di più.
Ma chi è il probabile futuro presidente cinese? Nato a Pechino nel 1953, Xi Jinping milita nel Partito Comunista Cinese (PCC) sin dal 1974. Durante la rivoluzione culturale Xi viene inviato nello Shanxi dove diventerà segretario della cellula di Partito del gruppo di produzione fino al 1975. L'esperienza non entusiasma Xi che ha più volte ribadito "di essere rimasto disilluso dalla rivoluzione culturale". Nonostante l'impegno politico che assorbe gran parte del suo tempo, Xi si iscrive nel 1975 all'Università Tsinghua di Pechino dove si laurea nel 1979 in ingegneria chimica. Successivamente Xi Jinping assume il ruolo di segretario di Geng Biao allora vice primo ministro e segretario generale della Commissione militare centrale. Alla fine degli anni' 80 entra nel Comitato municipale di Fuzhou e nel 1990 diventa Presidente della Scuola del Partito della città cui segue nel 1999 la nomina a governatore del Fujian attuando una politica improntata sull'attrazione degli investimenti esteri. Nel frattempo Xi sposa Peng Liyuan, membro dell'Esercito popolare di liberazione, deputata al Comitato nazionale della conferenza politica consultiva del popolo e cantante di successo, particolare che ha attirato numerose critiche. Nel 2002 Xi diventa governatore provvisorio del Zhejiang, facendo della provincia la più florida dal punto di vista economico, e nello stesso anno il XVI Congresso nazionale del Partito lo elegge membro del Comitato centrale, di cui era già supplente dal 1997. Nel 2007 è chiamato a sostituire Chen Liangyu, segretario del partito di Shanghai rimosso con l'accusa di coinvolgimento in un grosso scandalo di speculazioni e manomissioni di fondi pensione corruzione, ricevendo così un forte segno di apprezzamento da parte delle autorità centrali. Dal 2008 Xi Jinping ricopre la carica di vice presidente della Repubblica popolare cinese e capo della segreteria del partito.
E mentre il PCC era impegnato con il Plenum, fuori si moltiplicano le proteste contro la censura, scatenate dal caso del Nobel a Liu Xiaobo e alimentato dalla lettera-denuncia degli ex membri del partito che chiedono una maggior libertà di espressione. Un'atmosfera infuocata che aveva fatto prevedere a molti osservatori scontri all'interno delle stanze del Plenum tra le due fazioni del PCC. Sebbene non sia facile azzardare un'analisi, al momento sembrerebbe che dal Plenum sia trapelato ben poco riguardo le riforme politiche di cui aveva parlato il premier Wen Jiabao. "Credo che i cinesi siano convinti, come lo sono io, che la Cina debba proseguire sulla sua strada lastricata di progressi. E queste stesse persone provano ormai un irresistibile desiderio di democrazia e libertà" aveva detto Wen un mese fa nel corso del programma della CNN "Fareed Zakaria GPS". Un concetto che aveva già espresso, più o meno negli stessi termini, ad agosto in occasione del suo intervento nella città di Shenzhen. Sempre alla CNN la settimana scorsa Wen aveva dichiarato di "essere pronto a lottare contro il vento e la tempesta per le riforme politiche". Una dichiarazione cui alcuni analisti hanno guardato con scetticismo, dichiarando che le parole del premier non sono altro che un tentativo per accaparrarsi il consenso della comunità internazionale indignata dagli episodi di violazione dei diritti umani. E in patria i discorsi di Wen sulle libertà sono stati completamente censurati dai media di stato.
Lunedì mattina, prima della chiusura del Plenum, il China Daily ha riportato le dichiarazioni di Yu Keping, vice direttire dell'Ufficio di traduzione e compilazione del Comitato centrale de PCC, secondo cui il governo deve esercitare la democrazia attraverso le elezioni, il processo decisionale e la supervisione. Inoltre, ha aggiunto sempre Yu, bisogna garantire a tutti il diritto ad informarsi, a partecipare e ad ascoltare. Dalla conclusione del vertice non è stato rilasciato ancora alcun comunicato ufficiale e nulla a riguardo è ancora noto.
Una cosa è certa: in cima agli interessi di Pechino c'è "il benessere della nazione", l'economia e in particolare il dodicesimo piano quinquennale (2011-2015) per il quale sono già stati stanziati, secondo le indiscrezioni, circa 4 miliardi di euro da destinare alle industrie che operano nei nove settori chiave (energie alternative, nuovi materiali, tecnologie informatiche, biologia e medicina, protezione ambientale, aerospaziale, navale, industrie avanzate e servizi Hi-tech) e alle regioni interne. "Il prossimo piano quinquennale riserva una grossa somma di denaro a quei settori che sono stati reputati dal governo strategici per l'economia del Paese non solo ai fini di una crescita interna, ma soprattutto allo scopo di aumentare il margine di competitività su scala mondiale" ha riferito Liu Qin, vice direttore della commissione per le Riforme e lo Sviluppo della municipalità di Xi'an. Secondo molti economisti Pechino sta già pensando a un incremento di fondi destinati alla riforma sanitaria, all'istruzione e ai sussidi immobiliari da inserire nel piano quinquennale, la cui bozza finale verrà presentata il prossimo mese e approvata a marzo in occasione della sessione annuale dell'Assemblea nazionale del popolo. In particolare il governo cinese, si legge in un comunicato stampa rilasciato dalla Commissione, punterà sul miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini più poveri, il rafforzamento del sistema di previdenza sociale, l'aumento degli stipendi, il potenziamento dell'apparato sanitario e dei servizi pubblici generici. "E' importante per il governo – ha dichiarato Chi Fulin capo dell'istituto per lo Sviluppo e le Riforme con base ad Hainan – diventare un'istituzione orientata verso il pubblico e volto al raggiungimento della giustizia sociale".
Molto è stato fatto negli ultimi anni per migliorare l'economia cinese, tanto che non solo il Dragone è riuscito a fronteggiare la crisi, ma anche a posizionarsi al secondo posto tra le potenze economiche mondiali. E il prossimo obiettivo della Cina sarà rendersi più indipendente dall'export facendo leva sulla domanda interna.
di Sonia Montrella
© Riproduzione riservata