Al centro della controversia avviata due anni fa da Washington, Bruxelles e Città del Messico c'erano le quote sull'export di diversi minerali fondamentali per l'industria chimica e siderurgica come manganese, silicio, molibdeno e tungsteno, di cui la Cina è il primo produttore al mondo. Le restrizioni, applicate secondo Pechino per ridurre l'impatto ambientale delle attività di estrazione, hanno causato una riduzione delle forniture di queste materie prime a livello mondiale e allo stesso tempo un aumento dei prezzi, incentivando le industrie del settore a spostarsi in Cina per avvantaggiarsi dei costi più bassi.
Dopo 18 mesi di investigazione, la WTO ha rilevato come in parallelo ai tagli sulle quote destinate all'export la Cina non abbia applicato con altrettanto rigore i limiti ai consumi interni di queste risorse, adottando così un trattamento discriminatorio non in linea con gli impegni assunti al momento dell'ingresso nell'Organizzazione Mondiale per il Commercio.
"Stiamo valutando il rapporto della WTO e seguiremo le regole - hanno dichiarato all'agenzia di Stato Xinhua alcuni funzionari cinesi coinvolti nella vicenda -, ma esprimiamo il nostro dispiacere per il rigetto di una serie di norme che avevano come obiettivo la difesa dell'ambiente e della salute, in linea con i criteri di sviluppo sostenibile promossi dall'Organizzazione Mondiale per il Commercio". Le regole WTO prevedono comunque la possibilità di presentare un appello.
"Il verdetto WTO va chiaramente a sostegno del libero mercato e dell'accesso non discriminatorio alle materie prime - ha dichiarato con un comunicato il commissario Ue per il Commercio Karel De Gucht -, ci aspettiamo che la Cina adesso adegui il suo regime di esportazioni alle regole internazionali. Alla luce di questo risultato, inoltre, Pechino dovrebbe assicurare un accesso libero e leale ai minerali terre rare". La decisione della WTO, in effetti, arriva proprio mentre su Pechino si concentrano nuove polemiche in merito alle restrizioni all'export di quel gruppo di minerali detti "terre rare", argomento che gode delle luci della ribalta da quasi un anno: si tratta di un gruppo di 17 minerali fondamentali per la fabbricazione di prodotti hi-tech, dalle pale eoliche agli schermi per computer, dalle automobili ibride ad altre apparecchiature per lo sfruttamento delle energie rinnovabili, di cui la Cina detiene circa il 60% delle riserve mondiali e controlla circa il 90% del mercato.Nell'estate dell'anno scorso la Cina annunciò che avrebbe ridotto le quote di terre rare destinate all'export: l'estrazione di queste risorse comporterebbe costi ambientali eccessivamente elevati in quanto l'estrazione e la lavorazione dei minerali terre rare producono una grande quantità di sottoprodotti tossici che andrebbero ad aggravare il delicato problema inquinamento. Sempre allo stesso scopo, mesi fa il governo cinese fece sapere che avrebbe attuato un ulteriore taglio di circa il 35% delle esportazioni per i primi sei mesi del 2011, mentre a metà febbraio il Consiglio di Stato varò nuovi regolamenti, più severi, sempre in nome dell'eccessivo impatto ambientale derivato dall'estrazione. Poi ad aprile, Pechino ha reso note le cifre della produzione di terre rare per il 2011. Secondo quanto comunicato del ministero della Terra e delle Risorse, la Cina ha fissato il tetto massimo a 93.800 tonnellate, il 5% in più rispetto allo scorso anno, rimandando però l'approvazione di licenze per la produzione di tungsteno e antimonio a non prima del 30 giugno 2012. La stretta di Pechino aveva causato un eclatante aumento dei prezzi, che a giugno erano quintuplicati rispetto allo stesso periodo del 2010.
La decisione WTO sbloccherà anche la battaglia che si è scatenata intorno al controllo delle terre rare? Solo qualche giorno fa un gruppo di ricercatori giapponesi aveva reso nota la scoperta di giacimenti per circa 100 miliardi di tonnellate - circa mille volte le riserve mondiali stimate attualmente -, situate nei fondali del Pacifico. Ma secondo molti esperti del settore la scoperta è ben lontana dal segnare la fine del monopolio cinese sul mercato delle terre rare: un giacimento così vasto necessita dai cinque ai sette anni per lo sviluppo in condizioni normali, e le trivellazioni sottomarine potrebbero richiedere ancora più tempo.
di Antonio Talia
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