Roma, 5 mag.- Wine future: è questo l'ultimo acquisto dei ricchi cinesi. Il vino europeo continua a conquistare i palati dei ceti più abbienti che, in parte per sincera ammirazione, in parte per status symbol, hanno preso l'abitudine di pasteggiare col vino e di regalarlo ad amici e colleghi. E ultimamente molti di loro avrebbero deciso di non lasciarsi sfuggire l'opportunità di comprare una buona bottiglia a un ottimo prezzo. Insomma, prende piede anche in Cina la vendita del certificato "en primeur": l'investitore acquista il vino con largo anticipo (12 o 18 mesi) quando è ancora nei tini della casa vinicola. Questo garantisce al produttore un incasso sicuro e immediato e, allo stesso tempo, permette all'acquirente di comprare a un prezzo molto favorevole (in genere si risparmia circa il 20%) un vino pregiato che, con molta probabilità, raggiungerà quotazioni molto più elevate. Quella dei certificati "en primeur" è però una pratica diffusa anche in Italia, seppur con minor seguito. L'hanno fatto i big del Brunello, da Banfi ad Antinori a Frescobaldi, ma solo per particolari annate. Mentre sono soliti farlo il Chianti, il Barolo, l'Amarone, solo per citarne alcuni. Il cliente può prenotare un certo numero di bottiglie di cui entrerà in possesso solo allo scadere del periodo d'invecchiamento come prevede la legge italiana. Il sistema en primeur in Italia non è applicabile né alle vendemmie né ai vini non soggetti ad invecchiamento. "I cinesi non sono interessati ad acquistare i nostri wine future" spiega Guido Scialpi, giornalista enologico e direttore del Giornale dei distillatori, che aggiunge: "Sono sicuramente dei potenziali clienti ma, ancor di più, sono dei futuri concorrenti in quanto, sempre più interessati alla produzione vinicola, stanno già investendo in impianti enologici basati su tecnologie francesi e italiane".
Per il momento sono solo i vigneti francesi, quindi, ad aver svuotato le tasche dei cinesi. "Quest'anno per la prima volta la Cina è presente sul mercato come big player" sostiene Hubert De Bouard, proprietario della prestigiosa cantina francese Chateau Angelus e presente alla fiera di degustazione dei vini che si è tenuta a Singapore, richiamando più di mille appassionati. Generalmente il 40% dell'intera produzione annuale della casa di St-Emilion viene smaltito dal mercato asiatico, ma quest'anno De Bouard prevede di raggiungere il 50%. "Un incremento dovuto in gran parte all'indebolimento dell'euro - causato dal timore degli azionisti che la situazione della Grecia possa "infettare" l'Ue - che favorisce gli investimenti dei clienti esteri", spiega Jean Philippe Delmas, estate manager di Chateau Haut-Brion. "Quest'anno ho riscontrato un interesse crescente da parte dei cinesi e, sebbene sia in fase di evoluzione, quello dei wine future è ancora un mercato di nicchia che impiegherà forse dieci anni per decollare" ha aggiunto Delmas. Un processo lento, ma in espansione sul quale è pronto a scommettere anche Arnaud Compas intermediario della Hermitage Wines che ha sede a Londra e a Singapore: "Sono sicuro che se anche il mercato statunitense del vino dovesse crollare, quello cinese e honkonghese sarebbe impaziente di prenderne il posto".