Pechino, 25 nov. - Il Dragone alle prese con il rebus Corea del Nord, alleato scomodo che sta mettendo Pechino in una posizione imbarazzante: il premier cinese Wen Jiabao, in visita a Mosca, si è espresso ieri sulla nuova crisi tra Seul e Pyongyang invitando le parti in causa a "mantenere il controllo" e la comunità globale a "fare di più per risolvere una situazione di tensione". "La situazione è fosca e complessa – ha detto Wen, in quella che è la prima presa di posizione ufficiale da parte della leadership cinese- e la Cina è saldamente impegnata a mantenere la pace e la stabilità nella penisola coreana, e si oppone con fermezza a qualsiasi provocazione militare".
Ma a quale "provocazione" si riferisce esattamente il primo ministro cinese? Ai colpi di artiglieria sparati da nord, che martedì scorso hanno causato la morte di almeno 4 sudcoreani e il ferimento di una quindicina di persone nell'isola di Yeonpyeong? O ai quattro giorni di esercitazioni militari congiunte che la Corea del Sud metterà in scena a partire da domenica prossima nelle vicinanze dei confini marittimi contesi coi cugini settentrionali, con il potente sostegno degli alleati USA che stanno inviando in zona la portaerei George Washington? Nonostante i numerosi incidenti che si sono susseguiti ai confini tra le due Coree nel corso degli anni, Pechino ha sempre evitato di accusare pubblicamente Pyongyang, di cui è l'unico alleato al mondo. Anche questo caso, che alcuni osservatori considerano l'incidente più grave dalla firma della tregua nel 1953, non fa differenza: la Cina ha assunto una posizione tiepida e alcuni giornali cinesi si sono schierati esplicitamente con la Corea del Nord. "I colloqui a sei per il disarmo costituiscono la via principale per mantenere la stabilità nella zona e realizzare la denuclearizzazione della penisola" ha detto ancora Wen riferendosi ai "six party talks", i negoziati tra le due Coree, Cina, Russia, USA e Giappone per sospendere il programma atomico di Pyongyang dai quali i nordcoreani si sono definitivamente ritirati nello scorso anno.
Pechino non ha alcun interesse ad assistere a un repentino crollo del regime nordcoreano per diversi motivi: con la fine improvvisa della dittatura di Pyongyang, milioni di profughi nordcoreani si riverserebbero ai confini cinesi provocando un'emergenza umanitaria che la Cina non intende affrontare da sola. L'innalzamento della tensione causa inevitabilmente un aumento delle forze militari USA presenti nell'area, e in un eventuale processo di unificazione Seul prenderebbe facilmente il sopravvento sulla capitale di uno stato fallito quale è Pyongyang, facendo avanzare così i soldati americani fino al cortile di casa dei cinesi. Infine, per quanto la Corea del Nord costituisca un alleato imprevedibile, occupa comunque un posto di rilievo nel delicato sistema di pesi e contrappesi che caratterizza il fragile equilibrio di questo quadrante: non più tardi di un anno fa Pechino ottenne dall'establishment militare nordcoreano lo sfruttamento di una base marittima che costituisce per la Cina un prezioso sbocco diretto sul Mar del Giappone. La Cina si trova in queste ore ad affrontare una crescente pressione internazionale per intervenire sulla Corea del Nord, ma anche dopo l'investitura del ventisettenne Kim Jong Un a successore del padre, il "Caro Leader" Kim Jong Il, le manovre militari dello "Stato Eremita" appaiono difficilmente controllabili dall'esterno. Il ministro degli Esteri cinese Yang Jiechi, che sarebbe dovuto arrivare a Seul domani, ha rimandato la sua visita, e nessun dirigente cinese ha indicato un termine preciso per la ripresa dei colloqui a sei.
di Antonio Talia
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