Pechino, 15 mar. - Dagli squilibri economici interni al paese alla strategia d'uscita della Cina dal pacchetto di stimoli economici, dall'accoglienza per le imprese straniere al tentativo di aumentare le importazioni cinesi, fino al problema del protezionismo; è un Wen Jiabao a tutto campo quello che ha parlato ieri alla Grande Sala del Popolo di Pechino in conclusione dell'Assemblea Nazionale del Popolo, ma al centro di tutto restano due questioni: l'apprezzamento dello yuan e il rapporto con gli Stati Uniti. "Le relazioni sino-americane sono uno dei cardini della nostra diplomazia, e si tratta di qualcosa la cui portata trascende il mero rapporto tra i due paesi - ha detto il premier - ma i recenti incontri dei leader USA con il Dalai Lama e la vendita di armi a Taiwan hanno violato la sovranità e l'integrità territoriale cinese, deteriorando le relazioni tra i due paesi. Un deterioramento la cui responsabilità è statunitense, e non cinese". Wen Jiabao si è detto di nuovo "preoccupato" per la sicurezza degli investimenti del Dragone in America e ha chiesto al governo americano di prendere altre misure per proteggere gli investitori stranieri che acquistano Treasury Bonds USA. "I rapporti tra Cina e America erano iniziati in maniera propizia dopo l'insediamento del Presidente Barack Obama. Adesso, le due parti dovrebbero promuovere i rapporti bilaterali attraverso il dialogo, la cooperazione e la partnership, anziché tramite il contenimento e la rivalità. Relazioni pacifiche e fiducia reciproca vanno a beneficio di entrambi; il confronto e il sospetto danneggiano entrambi". Wen, che si è definito un "fiero sostenitore del libero mercato", ha promesso che la Cina varerà altre riforme per garantire alle compagnie straniere che investono nel paese un "trattamento paritario" a quelle domestiche, ed ha espresso il desiderio di avere un dialogo più continuo con gl'investitori stranieri. "Il nostro sviluppo non va a scapito di quello di altri paesi, la Cina non è mai andata alla ricerca dell'egemonia nel passato, e non lo farà neanche in futuro, quando diventerà un'economia matura". Ma è sul fronte dell'apprezzamento dello yuan che Wen Jiabao si è mostrato più duro, in quella che appare come un'ulteriore replica a distanza alle parole di Barack Obama."Un tasso di cambio dello yuan basato sul mercato è un contributo essenziale per gli sforzi di riequilibrio nei commerci internazionali" aveva dichiarato il presidente USA l'11 marzo scorso, e la risposta di Wen non si è fatta attendere: "Non credo che il tasso di cambio dello yuan sia sottostimato - ha detto il premier cinese - e la politica in materia di tassi di cambio di una nazione dovrebbero essere basati esclusivamente sulla sua situazione economica interna. Le mosse di alcuni paesi per aumentare le proprie esportazioni sono comprensibili. Ciò che non capisco è quando queste nazioni svalutano la propria moneta e nello stesso tempo spingono per l'apprezzamento di altre valute. Ritengo che questo sia protezionismo". Lo yuan è al centro di una controversia che dura da tempo: all'emergere della crisi Pechino ha di fatto ancorato di nuovo la sua valuta al dollaro, suscitando le accuse di USA e Unione europea che la ritengono sottostimata e, pertanto, capace di garantire all'economia cinese un vantaggio sleale. Una polemica che presto potrebbe arricchirsi di un nuovo capitolo: il 15 aprile prossimo, infatti, il Dipartimento del Tesoro Usa pubblicherà il suo rapporto semestrale, nel quale l'amministrazione Obama potrebbe bollare la Cina come "manipolatrice di valuta". Le relazioni sino-americane, allora, già messe a dure prova negli ultimi mesi, potrebbero sperimentare un'ulteriore gelata.