Wen ha fretta: crescita più equa
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Wen ha fretta: crescita più equa

Wen ha fretta: crescita più equa

L'Assemblea del popolo a Pechino. Lo sviluppo disomogeneo del paese preoccupa i leader cinesi
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Combattere l'inflazione. Bilanciare la crescita economica. Colmare il divario di ricchezza tra ricchi e poveri. Costruire un esercito potente e moderno.
Wen Jiabao inaugura i lavori dell'Assemblea Nazionale del Popolo senza stupire nessuno. Le parole d'ordine lanciate ieri dal premier cinese nel discorso che ha aperto i lavori della sessione annuale del parlamento suonano di vecchio e sembrano un logoro déjà vu. «L'inflazione è il nostro nemico numero uno - ha ammonito Wen Jiabao - un nemico che minaccia non solo i redditi dei cittadini, minando il loro benessere, ma anche la stabilità sociale del paese».
Un paese che continua a crescere in modo tumultuoso e selvaggio, scavando giorno dopo giorno un fossato sempre più ampio tra chi ha e chi non ha, tra coloro che sono riusciti a salire sul treno dello sviluppo e coloro per i quali quest'ultimo non è mai passato. «Non siamo ancora riusciti a risolvere alcuni grandi problemi fortemente sentiti dal popolo, come quello del divario di ricchezza - ha ammesso il premier cinese -. Purtroppo, il nostro sviluppo economico non è ancora equilibrato, coordinato e duraturo. Lo sappiamo bene, e sappiamo anche che tutto ciò può generare malcontento nel paese, soprattutto quando l'inflazione è in aumento».
Tutti concetti triti e ritriti, già sentiti dieci, cento, mille volte, suonano quasi come un'ammissione di sconfitta: la "società armoniosa", che la Quarta Generazione di comunisti cinesi si era prefissata di costruire otto anni fa quando salì al potere, è ancora un sogno lontano dall'avverarsi.
Ergo: la Cina che Wen Jiabao e Hu Jintao consegneranno ai loro successori nell'autunno 2012, quando il 18° Congresso del Partito Comunista sancirà il passaggio delle consegne al vertice della nomenklatura, sarà una Cina sicuramente più ricca, sviluppata, moderna e potente di quella ereditata da Wen e Hu da Jiang Zemin e da Zhu Rongji nel lontano ottobre 2002.
Ma sarà anche una Cina più ineguale, ingiusta e disomogenea. Per questa ragione, sembra questo il messaggio intrinseco lanciato da Wen ai 3mila delegati riuniti a Pechino, sarà anche una Cina più fragile. Una Cina dove la crescita economica a doppia cifra sperimentata negli ultimi anni potrebbe anche non bastare più a mascherare le abnormi contraddizioni interne.
Nonostante tutto, il discorso fiume di Wen Jiabao contiene tra le righe una novità importante rispetto al passato: il senso d'urgenza con cui il premier ha sottolineato la lista delle cose da fare per evitare che la Cina scivoli nell'instabilità e nel caos. E sotto questo profilo, la nascita improvvisa nelle scorse settimane di un "movimento dei gelsomini" in salsa cinese sulla scia dei moti di protesta esplosi nel mondo arabo ha senza dubbio condizionato, almeno sul piano emotivo, l'arringa di Wen al popolo dei delegati. «Dobbiamo far presto», sembrava voler dire la smorfia preoccupata del primo ministro nei passaggi cruciali del suo sermone alla nomenklatura cinese riunita al gran completo.
Per esorcizzare lo spettro delle rivolte di piazza che, nonostante la reazione violenta e paranoica del Governo alle convocazioni dei gelsomini nelle ultime due domeniche di febbraio, oggi in Cina nessuno sembra davvero desiderare, Wen si è aggrappato ai programmi e ai numeri.
I programmi sono quelli contenuti nel 12° Piano Quinquennale 2011-2015 (sarà discusso in questi giorni dal parlamento) con cui la leadership cinese si ripropone obiettivi concretamente raggiungibili in tempi rapidi come l'aumento dei salari, la riduzione della tassazione sui redditi medio-bassi e il rafforzamento del welfare state. E altri che richiedono radicali mutamenti strutturali, e quindi tempi lunghi e incerti. Uno su tutti: la convergenza dell'economia cinese verso un nuovo paradigma di sviluppo meno dipendente dal ciclo internazionale, che preveda un aumento dei consumi domestici e una riduzione delle esportazioni nella formazione del prodotto interno lordo.
I numeri sono quelli relativi al bilancio pubblico 2011 già filtrati a spizzichi e bocconi nelle scorse settimane dai palazzi del potere: 8% di crescita economica "ideale"; inflazione programmata al 4%; budget deficit a 900 miliardi di yuan (137 miliardi di dollari), pari al 2% del Pil; entrate fiscali e spesa pubblica in aumento rispettivamente dell'8% e del 12% rispetto all'anno precedente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

06/03/2011
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