Walt Disney sbarca a Shanghai
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Walt Disney sbarca a Shanghai

Walt Disney sbarca a Shanghai

Entertainment. Accordo sul parco
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Luca Vinciguerra
SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Dopo una lunga attesa, Walt Disney sbarca finalmente in Cina. Ieri, dopo che nella notte il quartier generale del colosso dell'entertainment americano aveva lasciato intendere che le trattative erano giunte a un punto di svolta, la Municipalità di Shanghai ha ufficializzato la notizia: Walt Disney è stata autorizzata a realizzare un parco divertimenti.
La nuova residenza cinese di Topolino e Paperino sorgerà a Pudong, l'immensa area al di del fiume Huangpu sulla quale negli ultimi vent'anni si è proiettato lo sviluppo della città. La costruzione prevede un investimento di circa 3,6 miliardi di dollari. Il progetto sarà annunciato ufficialmente a metà novembre durante la visita in Cina di Barack Obama.
Dopo di che le parti dovranno valutare gli aspetti tecnici, la struttura azionaria, la partecipazione di soci locali, la copertura finanziaria del progetto. E dovranno valutare anche i suoi contenuti. Anche il parco divertimenti dovrà sottostare alle regole ferree della censura cinese.
Nonostante abbia avuto una gestazione lunga e complessa (se ne parlava da otto anni), Disneyland sarà un affare in cui potrebbero guadagnarci tutti. Potrebbe guadagnarci l'azienda americana, che sbarcando in Cina globalizza il proprio business senza tagliare posti di lavoro in patria. E potrebbe guadagnarci la Cina che, aprendo le porte a Walt Disney, non danneggerà alcuna società domestica, poiché i parchi tematici rappresentano un settore nel quale nessuna azienda nazionale è competitiva.
Il condizionale è d'obbligo. Mentre a Burbank si festeggia per il sì al tanto agognato ingresso sul mercato cinese, il quartier generale di Walt Disney sa bene che il successo dell'operazione non è scontato. Dopo aver fatto in conti con la burocrazia cinese, ora Disneyland dovrà fare i conti con il pubblico. L'assaggio del mercato cinese a Hong Kong non è dei più incoraggianti: dal 2005 ad oggi, la Disneyland dell'ex colonia britannica ha ospitato molti meno visitatori del previsto con il risultato di accumulare perdite su perdite.
E anche per le autorità cinesi l'operazione Disneyland potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio. Una larga fetta dell'opinione pubblica si è sempre opposta alla contaminazione della cultura cinese operata dai marchi occidentali. Un'opinione pubblica che ieri ha riversato tutto il suo scontento sui blog. Un commento su tutti: «La costruzione del circuito di Formula Uno, una disciplina totalmente estranea alla tradizione cinese che ci è stata imposta dall'esterno, ci ha costretto a pagare più tasse senza portare alcun beneficio reale. Con Disneyland accadrà la stessa cosa».
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05/11/2009
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