Roma, 22 ott.- Si è aperto con un disaccordo generale il G20 finanziario di Gyeongjuin in Corea del Sud. Mentre ormai da settimane i mercati internazionali sono attraversati da forti tensioni a causa di una serie di svalutazioni competitive lanciate a catena da diverse nazioni, il vertice - secondo il segretario del Tesoro americano Timothy Geithner - ha il compito di definire nuove norme sulle politiche dei tassi di cambio e spianare la strada per il G20 dei capi di Stato e di Governo che si terrà Seul a novembre. Ma le potenze mondiali sembrano già viaggiare su binari diversi:"I Paesi con larghi surplus commerciali – quali India, Cina, Arabia Saudita e Russia - devono modificare il loro regime valutario consentendo un apprezzamento della propria moneta in modo da rafforzare la crescita globale" ha dichiarato Geithner in una lettera indirizzata ai ministri delle Finanze dei Paesi che prendono parte al vertice, un chiaro riferimento al nuovo rapporto FMI sullo stato di salute dell'economia mondiale (leggi questo articolo). In particolare il segretario americano chiede che questi "si impegnino ad astenersi da politiche dei tassi di cambio tese a delineare un vantaggio competitivo, sia indebolendo la propria valuta, sia impedendole di apprezzarsi, quando è sottovalutata".
Il riferimento alla Cina è chiaro: da tempo gli Usa stanno combattendo un lungo braccio di ferro con il Dragone, che viene da più parti accusato di mantenere artificialmente basso il valore dello yuan per garantirsi un vantaggio sleale nelle esportazioni. Dopo un ancoraggio di quasi due anni al dollaro, lanciato per difendersi dalla crisi, nel giugno scorso Pechino ha acconsentito a una leggera fluttuazione, che ha però condotto a una modesta rivalutazione attorno al 2,5%. Decisamente troppo poco per chi nell'export subisce dal Dragone una concorrenza sempre più pervasiva: il Giappone è intervenuto sul proprio tasso di cambio per la prima volta in sei anni e successivamente, come tasselli di un domino, sono state adottate misure dirette o indirette da Corea del Sud, Singapore, Taiwan, India, Brasile e Svizzera.
La posizione ufficiale tenuta da Pechino si ripete da mesi, ed è stata recentemente riassunta dal premier Wen Jiabao nei suoi viaggi a New York e in Europa: un apprezzamento repentino avrebbe ripercussioni enormi sulla Cina, causando la chiusura di fabbriche e un aumento della disoccupazione i cui effetti si farebbero sentire anche sulla ripresa mondiale. Uno yuan forte, inoltre, provocherebbe un immenso afflusso di capitali speculativi dall'estero, capaci di compromettere ulteriormente la crescita cinese.
Intanto a Gyeongjuin il segretario del Tesoro americano ha richiesto ai Paesi di limitare il proprio avanzo commerciale al 4% del PIL, una misura che poche nazioni sarebbero in grado di mettere in atto. Allo stesso tempo, ha spiegato Geithner, i Paesi come gli Stati Uniti che si ritrovano con grossi deficit commerciali "dovrebbero adottare politiche fiscali sostenibili di medio-termine". Ma il progetto di Geithner non sembra destinato ad attirare seguaci: diversi stati anche molto lontani tra loro come l'India e il Giappone hanno già rifiutato la proposta americana; una strategia universale in grado di riequilibrare l'economia globale e impedire alle realtà emergenti di mantenere basso il valore delle proprie monete sembra suscitare un generale scetticismo. "E' un tema su cui dobbiamo discutere, ma non è realistico fissare obiettivi numerici" ha dichiarato il ministro delle Finanze giapponesi Yoshihiko Noda. Dopo il fallimento del vertice del Fondo Monetario Internazionale a Washington e della conferenza straordinaria di Shanghai (leggi questo articolo), i riflettori sono puntati al vertice di Seoul. Per il momento quella che era stata presentata come un'occasione per i Paesi del G20 per cercare un sentiero comune rischia di diventare un terreno di scontro per il dominio del mercato finanziario.© Riproduzione riservata