Pechino, 16 set.- Si alla vendita di armi, no ai nuovi jet F-16 richiesti da Taipei a Washington. Questa, per il momento, la decisione ufficiosa degli Stati Uniti riguardo il riarmo di Taiwan. Per la conferma bisognerà però attendere ancora qualche giorno: il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha, infatti, fissato il termine ultimo per il 1 ottobre. Mentre dalla Casa Bianca il riserbo è al massimo, secondo il Washington Times, il Congresso Usa sarebbe concorde sulla vendita di un 'pacchetto' di armi da 4,2 miliardi di dollari, mentre sarebbe diviso sulla fornitura di 66 F-16 C/D, una versione più avanzata e moderna degli ormai obsoleti aerei militari taiwanesi. E sempre secondo il quotidiano, tra i contrari figurerebbe lo stesso Obama.
La richiesta di ammodernamento della flotta aerea taiwanese si è fatta più insistente dopo l'incidente del 13 settembre durante il quale due vecchi F5 si sono schiantati contro un aereo ad est di Taiwan causando la morte di 3 piloti. Sebbene le cause dello schianto siano ancora ignote, gli ufficiali taiwanesi non hanno dubbi: l'Air Force è troppo datata. Attualmente la flotta dell'ex Formosa è costituita da F-16 A/B di venti anni fa – sono pochi i Paesi al mondo che utilizzano ancora questo genere di jet -, dei caccia French Mirage 2000-5 anch'essi vecchi di 20 anni e da caccia F-5 dell'età di 35 anni. L'ammodernamento, sostiene il governo di Taiwan, non può più aspettare. Gli F-16 C/D cui brama Taipei sono in grado di trasportare più bombe e di condurre attacchi più mirati contro bersagli terrestri. Tuttavia, sin dal 2006 gli Stati Uniti hanno tentennato riguardo la vendita dei nuovi F-16, con tutta probabilità – sostengono alcuni analisti – per non pestare i piedi al Dragone.
La vendita di armi a Taiwan - isola che si proclama indipendente, ma che per la Cina è parte integrante del proprio territorio – costituisce infatti uno dei principali nodi al pettine nei rapporti tra Pechino e Washington. Sin dalla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti riforniscono l'ex isola di Formosa di equipaggiamento bellico. Un appuntamento a scadenza regolare annuale, ma con proporzioni variabili: l'ultimo importante 'pacchetto' armi è stato inviato da Washington nel 2001, un carico comprensivo tra le altre cose di missili Patriot, elicotteri Black Hawk, ma nessun sottomarino o caccia. Da allora l'armamento annuale è consistito più in un rifornimento che in un vero e proprio ammodernamento. Dal fronte cinese, invece, una schiera di 1.500 missili continua da tempo a puntare verso l'altra sponda. Non solo. Se la Cina decidesse di voler riammettere la provincia ribelle sotto la propria giurisdizione, il confronto tra i due eserciti sarebbe impari, lamentano i taiwanesi.
Secondo Alexander Huang, professore della Tamkang University di Taipei esperto in questioni militari sino-taiwanesi – gli Stati Uniti hanno modificato il loro modo di gestire il riarmo dell'isola dopo l'11 settembre. Fu allora che l'allora presidente George W. Bush smantellò i colloqui annuali tra Taipei e Washington. "In seguito all'11 settembre e in concomitanza con l'ascesa della Cina, Washington iniziò a posporre le richieste di Taiwan. Diverse volte gli Stati Uniti, dietro le pressioni di Pechino, hanno chiesto a Taiwan di non inoltrare richieste " ha dichiarato Huang. "L'America ha le mani legate" ha aggiunto. E il motivo è chiaro a tutti: "La Cina è il primo detentore di buoni del Tesoro americani e ha contatti con la Corea del Nord e con l'Iran: sono solo due dei diversi motivi per cui gli Stati Uniti non vogliono inimicarsi Pechino".
Negli ultimi giorni, attraverso gli organi di stampa ufficiali, Pechino è tornata ad ammonire gli Stati Uniti sulla questione di Taiwan. Gli Stati Uniti potrebbero pagare a caro prezzo la decisione di riarmare l'ex colonia, si leggeva qualche giorno fa sul People's Daily, quotidiano di punta del partito comunista cinese. Tuttavia, secondo molti analisti, le conseguenze sarebbero meno forti delle minacce. L'anno scorso, la vendita di un carico di armi da 6,4 miliardi di dollari, autorizzata da Bush e approvata da Obama, ha scatenato le ire del Dragone. Immediato il congelamento dei rapporti militari tra le due super potenze fino la riapertura dei colloqui a fine anno. "E' il massimo che Pechino possa fare. Non cancellerà gli accordi economici perché un declino dell'economia statunitense si ripercuoterebbe su quella cinese" sostengono gli esperti.
di Sonia Montrella
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