Usa 2016: Cina citata 12 volte, paure su web e Nordcorea
Eugenio Buzzetti
Pechino, 27 set. - La Cina viene nominata dodici volte nel primo dibattito televisivo tra Donald Trump e Hillary Clinton, un record rispetto ai precedenti dibattiti tra candidati presidenziali delle scorse edizioni. Pechino sale nella considerazione dei candidati alla Casa Bianca, assieme alle preoccupazioni di carattere economico-commerciale (e non solo) che si porta dietro la seconda economia del pianeta. La Cina non viene vista solo come la potenza economica accusata da Trump di pratiche commerciali scorrette e di manipolazione della valuta, ma anche come fonte di preoccupazioni sul piano degli attacchi informatici, punto su cui si è soffermata Hillary Clinton, e su temi di politica internazionale che vanno dai rapporti con l'Iran alla minaccia della Corea del Nord, un problema che dovrebbe essere risolto, in primo luogo, da Pechino, secondo il candidato repubblicano.
La Cina "sta svalutando la sua moneta e non c'è nessuno nel nostro governo per contrastarla e per combattere una vera battaglia", ha affermato Trump. Pechino, ha proseguito, sta "usando il nostro Paese come un salvadanaio per ricostruire la Cina e molti altri Paesi stanno facendo la stessa cosa. Stiamo perdendo molti buoni posti di lavoro". Negli Stati Uniti, settimana scorsa, il primo ministro cinese, Li Keqiang, aveva ancora una volta escluso la possibilità di una svalutazione competitiva dello yuan, la valuta cinese, per sostenere la esportazioni, ma neppure le rassicurazioni dirette del premier cinese, sembrano avere smosso il candidato repubblicano dalle sue posizioni.
Non meno tenere, verso Pechino, le affermazioni di Hillary Clinton, che ha picchiato duro sul tema dei cyberattacchi. "Che sia la Russia, la Cina, l'Iran o chiunque altro, gli Stati Uniti hanno mezzi ben più grossi e non rimarremo seduti a vedere attori statali assalire il nostro servizio di informazione, pubblico o privato". La Cina è stata oggetto di dibattito anche su uno dei pochi punti di accordo con gli Stati Uniti, quello sul clima. Clinton ha accusato Trump di ritenere il cambiamento climatico un concetto inventato da Pechino per rallentare la competitività del manifatturiero statunitense. Trump ha negato, ma la prova risale a un tweet dello stesso Trump del 2012.
Pechino si tiene alla larga, ufficialmente, dal dibattito. Proprio da New York, nei giorni scorsi, il premier cinese aveva accuratamente evitato di cadere nel tranello di esprimere una preferenza tra i due candidati, limitandosi a dire che chiunque vincerà la sfida per la Casa Bianca, i rapporti tra Cina e Stati Uniti rimarranno "positivi" e "stabili". Nel discorso alle Nazioni Unite, però, Li Keqiang, ha parlato di lotta al protezionismo, un messaggio che alcuni hanno letto come indirettamente rivolto al candidato repubblicano, e alle sue opinioni sulla Cina. Alcuni segnali di insofferenza nei confronti di Donald Trump erano già emersi negli scorsi mesi da parte di Lou Jiwei, ministro delle Finanze di Pechino, noto per la schiettezza nei toni. "Un tipo irrazionale", lo aveva definito, uno da non prendere sul serio. Intanto, però, un sondaggio condotto su Weibo, la più popolare piattaforma di social network in Cina, vede i due candidati in un sostanziale testa a testa, alla domanda su chi abbia vinto il primo confronto televisivo: a metà pomeriggio di oggi, Hillary Clinton conduce in vantaggio solo di pochi punti rispetto all'avversario, a metà pomeriggio di oggi, ora locale.
Il candidato repubblicano è, però, sotto osservazione degli analisti cinesi da tempo. All'indomani della vittoria in Indiana, del maggio scorso, che ha lanciato definitivamente Trump come candidato unico del Partito Repubblicano, politologi ed esperti cinesi sono venuti allo scoperto sulle pagine del Global Times, valutando i pro e i contro del personaggio. il Global Times, quotidiano tradizionalmente attento alla politica estera, aveva in quell'occasione, sentito otto esperti di ogni livello e provenienza sull'emergere incontrastato di Trump. Il suo rappresentare l'anti-establishment può essere considerato un fattore di novità e di flessibilità del sistema americano, sosteneva Wang Yiwei, direttore dell'Institute of International Affairs. Di più: Trump presidente potrebbe essere una buona notizia per la Cina. La tendenza all'isolazionismo è preferibile, per Pechino, alla continuazione del "pivot to Asia", la strategia iniziata da Obama e dall'allora segretario di Stato, Hillary Clinton, e vista come un tentativo di contenimento della Cina. In molti, tra i cinesi, riconoscono gli analisti, sono rimasti affascinati dal tycoon dal temperamento senza scrupoli, ma Clinton viene vista come il candidato con più chance di vittoria. Anche in caso contrario, però, non si prevedono grossi sconvolgimenti nei rapporti bilaterali all'orizzonte. La retorica della campagna presidenziale di Trump, sottolinea Diao Daming, ricercatore presso l'Istituto di Studio Americani dell'Accademia di Scienze Sociali, dovrà lasciare spazio a una delle caratteristiche più apprezzate dai cinesi: il pragmatismo nelle scelte di tutti i giorni.
27 SETTEMBRE 2016
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