Pechino, 17 giu.- Il G20 non è il luogo adatto a discutere della riforma del tasso di cambio dello yuan: Pechino liquida così, quasi con stizza, l'ultima fiammata di polemiche sull'apprezzamento della sua valuta divampata recentemente dall'altra parte del Pacifico. La prossima riunione dei 20 grandi è fissata per il 26 e il 27 giugno, in Canada: in quell'occasione, dopo le nuove critiche da parte americana, i mercati finanziari seguiranno con attenzione le mosse del presidente Hu Jintao alla ricerca di qualche gesto distensivo sulla politica di ancoraggio dello yuan al dollaro, avviata nel 2008 all'emergere della crisi globale in tutta la sua gravità. "Se permettiamo che il G20 si trasformi in un luogo per lo scambio di accuse reciproche, i mercati e l'opinione pubblica mondiale riceveranno dei segnali confusi – ha dichiarato ai reporter un funzionario cinese di alto livello che preferisce mantenere l'anonimato – e ritengo che ciò possa avere delle pessime conseguenze sull'economia mondiale. Non credo che questi siano gli scopi per cui il G20 sta assumendo un ruolo sempre più importante, e penso che sarebbe una sconfitta per tutti i partecipanti". Ma il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Qin Gang si è spinto molto più in là: "Penso che sia molto inappropriato discutere di tale questione al G20 – ha detto oggi nel corso di una conferenza stampa di routine –, il tasso di cambio dello yuan non è la causa della crisi finanziaria internazionale e non costituisce un peso per la ripresa dell'economia mondiale, né un fardello al riequilibrio o allo sviluppo sostenibile". La pazienza americana sembra al limite e la scorsa settimana il Segretario del Tesoro USA Timothy Geithner ha riaffermato che l'attuale tasso dello yuan "ostacola il percorso verso un'economia mondiale più equilibrata": lo yuan-renminbi, che non è una divisa convertibile, è stato di fatto nuovamente ancorato al dollaro nel luglio 2008, dopo un periodo di 3 anni in cui era stato lasciato libero di fluttuare all'interno di parametri prefissati, che comunque non avevano impedito un apprezzamento di circa il 20%; le politiche attuali, però, hanno suscitato numerose critiche da parte di Washington e Bruxelles, che accusano Pechino di mantenere la propria moneta artificialmente bassa per ottenere un vantaggio sleale nei commerci internazionali. La Cina, da parte sua, nonostante qualche timida apertura da parte di alcuni settori della Banca centrale e di una parte dell'establishment economico, continua a rimandare le accuse al mittente, sostenendo che il tasso di cambio dello yuan verrà modificato a tempo debito e che un apprezzamento repentino avrebbe l'unico effetto di attirare capitali speculativi dall'estero, causando una spirale inflattiva nel Paese. Il Congresso americano, nel frattempo, sembra pronto a intraprendere alcune iniziative contro la Cina: "Se la Cina non agisce e se l'attuale amministrazione non adotta misure rapide, allora toccherà al Congresso" ha dichiarato ieri il senatore democratico Sander Levin. Pechino punta ad usare il prossimo G20 come piattaforma per ampliare il ruolo delle economie emergenti all'interno del Fondo Monetario Internazionale, ma ad una decina di giorni dall'avvio lo yuan-renminbi si preannuncia come il tema più caldo del summit canadese.
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