Undici anni al dissidente Liu
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Undici anni al dissidente Liu

Undici anni al dissidente Liu

Cina. Dura condanna al promotore della carta per il rispetto dei diritti umani
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Luca Vinciguerra
SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Undici anni di carcere. Il tribunale di Pechino usa il pugno di ferro contro Liu Xiaobo, il dissidente promotore di Carta 08, la petizione per il rispetto dei diritti umani in Cina sottoscritta da migliaia di intellettuali e diffusa in tutto il mondo via internet alla fine dell'anno scorso.
I giudici hanno riconosciuto Liu colpevole di istigazione alla sovversione contro i poteri dello stato. La dura sentenza, la più dura mai emessa da un tribunale cinese dopo l'introduzione del reato di istigazione sovversiva, è stata pronunciata il giorno di Natale. Una scelta non casuale: la nomenklatura cinese, dopo aver deciso di mettere a tacere la voce scomoda di Liu, sperava che in questo modo la sua condanna facesse il minor clamore possibile.
Ma ha fatto male i conti. Subito dopo il verdetto, i rappresentanti dell'Unione europea e degli Stati Uniti hanno protestato ufficialmente con il governo cinese. «Chiediamo l'immediata liberazione del dissidente e invitiamo la Cina a rispettare il diritto dei cittadini di esprimere pacificamente il loro pensiero politico», ha detto giovedì sera Greg May, primo segretario dell'ambasciata americana a Pechino. E ieri anche le Nazioni unite hanno duramente criticato la sentenza. «Il processo e la pesante condanna inflitta a Liu Xiaobo segnano un'ulteriore, grave restrizione della libertà di espressione in Cina», ha dichiarato Navi Pillay, alto commissario per i diritti umani dell'Onu.
È assai difficile, però, che le critiche della comunità internazionale smuovano la coscienza del partito comunista cinese. Cinquantatre anni, pechinese, ex professore di letteratura, Liu Xiaobo è infatti una vecchia spina nel fianco della nomenklatura. Da sempre convinto riformista, nel 1989 fu uno degli intellettuali a schierarsi a fianco dal movimento studentesco nel moto di protesta sfociato nel massacro di Piazza Tiananmen. Da allora, il dissidente non ha avuto più pace. È entrato e uscito più volte di galera, ha trascorso lunghi periodi nei campi di lavoro, è vissuto come un sorvegliato speciale. Ciononostante, non ha mai smesso di pensare e, nei limiti del possibile, di difendere la causa dei diritti umani in Cina.
Per questo motivo un anno fa, subito dopo la pubblicazione di Carta 08 (il documento con cui oltre 10mila attivisti, professori, dissidenti e intellettuali avevano chiesto al governo cinese di rispettare i diritti umani, avviare una riforma del sistema politico imperniato sul partito unico, e garantire l'indipendenza del potere giudiziario) Liu era stato arrestato. Da quel giorno non è più uscito dal carcere.
La sua vicenda ha colpito profondamente l'opinione pubblica mondiale, e Liu è diventato così il simbolo globale della lotta dei dissidenti cinesi per il rispetto dei diritti umani oltre la grande muraglia. Con la sua condanna il governo cinese ricorda alla dissidenza interna che, nonostante lo sviluppo economico e la modernizzazione del paese, la vecchia linea maoista sulla libertà di pensiero non è cambiata: punirne uno per educarne cento.
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Difensore dei diritti umani
Liu Xiaobo, l'intelleTtuale cinese condannato il giorno di Natale a 11 anni di carcere per «istigazione alla sovversione dei poteri dello stato» (nella foto la moglie legge la sentenza ai giornalisti), ha iniziato la sua attività a favore di un cambiamento democratico della Cina nel 1989. Da allora Liu, che il 28 dicembre compirà 54 anni, ha trascorso lunghi periodi in detenzione: poco meno di due anni subito dopo il massacro di piazza Tiananmen e tre anni, dal 1996 al 1999 in un campo di «rieducazione attraverso il lavoro».
Liu Xiaobo è stato il promotore di Carta 08 la petizione per il rispetto dei diritti umani in Cina, molto critico nei confronti del partito comunista. Nel 1989, quando scoppiò il movimento studentesco favorevole alla democrazia, Liu si trovava negli Stati Uniti dopo aver vinto una borsa di studio. Il giovane, che aveva la qualifica di professore all' Università di Pechino, si sentì in dovere di rientrare in patria, dove aderì al movimento studentesco

27/12/2009
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