Una Cina troppo ricca per la piazza
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Una Cina troppo ricca per la piazza

Una Cina troppo ricca per la piazza

Crescita e autoritarismo
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In Cina domenica 20 febbraio un appello su internet chiamava la popolazione a manifestare contro il governo per una rivoluzione al gelsomino in tredici città. Su oltre 400 milioni di utenti della rete, nel paese di 1,4 miliardi di abitanti, solo poche centinaia rispondevano all'appello. La domenica successiva, il 27, la chiamata alle dimostrazioni era estesa a 27 città ma il risultato era ancora meno soddisfacente.
L'insuccesso è certo da attribuire al pronto intervento dei poliziotti che in divisa, in borghese o travestiti da operai e spazzini, hanno impedito ai dimostranti potenziali di raggrupparsi, per esempio davanti al centralissimo McDonald della strada commerciale di Pechino Wangfujing.
Ma questo intervento preventivo spiega forse ancora poco, perché comunque alcune centinaia di migliaia di dimostranti sono un numero risibile per gli standard cinesi. Significano tanto poco che molti si chiedono perché Pechino non riesca a tollerare un pugno di dissidenti.
Non ci sono dubbi che la gran parte della popolazione è saldamente governativa, molti sondaggi di opinione cinesi e stranieri lo confermano. Perché la gente dovrebbe essere infelice? Nessun altro governo al mondo ha mai creato tanta ricchezza tanto in fretta. Da trent'anni il paese cresce a una velocità del 10% ogni anno; negli ultimi vent'anni la ricchezza complessiva è aumentata del 550%; problemi diffusi e generalizzati di sottoalimentazione, di abiti e abitazioni miserrime che c'erano solo vent'anni fa stanno scomparendo.
Vent'anni fa nessuno aveva alcunché, oggi almeno 1,3 miliardi di persone ha un appartamento in città o una casa e un pezzo di terra in campagna. Chi in queste condizioni in altre parti del mondo perderebbe un'elezione? Nessuno.
Certo le differenze sociali che quasi non esistevano ora sono enormi, il partito comunista ha fatto errori spaventosi nel passato un po' remoto, ma in quello più recente è stato capace di trascinare la Cina verso lo sviluppo.
Quindi nel paese non ci sono le condizioni minime delle rivoluzioni al gelsomino del Medio Oriente, dove ampie fasce di popolazione vivono in condizioni miserabili e un'improvvisa impennata dei prezzi dei cereali è un dramma per milioni di persone.
La reazione in forza di Pechino contro gli sparuti dimostranti pare un segno di prepotenza, un arbitrio inutile, una prova, questa sì, dell'ingiustizia del sistema di potere cinese. Pechino sarebbe più forte se lasciasse dimostrare e facesse spegnere piano piano la protesta. Da lontano pare che il partito si prenda a schiaffi da solo, gratuitamente.
Il gelsomino cinese però è pieno di paradossi. Nella complicata alchimia della turbo-crescita cinese va considerato che il governo non è più una dittatura ma rimane autoritario e in una fase di complicata transizione politica.
Il timore ai piani alti è che anche leggere fratture in questo sistema autoritario, innescate da dimostrazioni, possano far traballare la transizione e accendere feroci lotte politiche all'interno.
Ma un sistema pienamente democratico potrebbe continuare a guidare la crescita economica o l'alchimia dello sviluppo sarebbe compromessa? Il governo pensa che con "appena" 300 milioni di persone arrivate a un benessere occidentale non può permettersi di rischiare di mutare quell'alchimia.
Così i teorici del complotto cinese poi ragionano: e se gli appelli al gelsomino non sono farina del sacco di dissidenti cinesi ma invenzioni di qualche straniero che vuole fermare la crescita cinese e respingere il 22% dell'umanità nella miseria?
Facile pensare che eventuali successori dei governanti attuali possano fare peggio, così come è facile pensare che le rivoluzioni in Tunisia e in Egitto sono state in realtà quasi colpi di stato di palazzo e che forse poco cambierà nel governo di quei paesi.
Così molte rivoluzioni mediorientali potrebbero essere una specie di moda passeggera, diversa da altre del passato solo perché internet e telefonini abbreviano distanze e tempi.
Anche se fosse solo così però nel gioco di scatole cinesi c'è un altro aspetto che Pechino conosce bene. Al di là dei risultati economici la gente, specie se vive meglio, vuole maggiore libertà e più vie di partecipazione alla politica: questo è il problema reale che rimane al di ogni fiore di protesta.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

03/03/2011
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