UN NAPOLETANO A PECHINO DOCUMENTA LA GUERRA DEI BOXER
Roma, 09 dic. - S'erge San Michele a sinistra, arcangelico principe delle milizie occidentali. Sta assiso Buddha a destra, animatore perfido dei ribelli d'Oriente. La didascalia sottostante recita: "Il pericolo giallo". Fu dipinta così, da un propagandista tedesco, la spedizione dei contingenti internazionali che nell'agosto 1900 arrivano in Cina per reprimere la Rivolta dei Boxer mettendo a ferro e fuoco, proprio in senso letterale, Pechino e dintorni.
Ci sono tra quei sedicimila soldati punitori anche i nipponici, non meno gialli dei cinesi ma per i quali ancora s'applica una deroga che di lì a poco cadrà tutta a pezzi. Pure ci sono gli italiani, cui il contributo ancorché marginale frutterà una concessione di 447.674 metri quadrati a Tianjin, il frammento territoriale più piccolo tra quelli ceduti agli stranieri (oltracciò, putrescente e paludoso). Sarà bonificato e finanche impreziosito prima di cederlo - senza un colpo sparato - proprio ai giapponesi che si presentano all'alba del 10 settembre 1943 per intimare la resa al comandante Dell'Acqua e ai marinai del San Marco.
Archivi militari, documenti privati, resoconti diplomatici, giornalistici ed ecclesiastici - per parlare solo di fonti occidentali - hanno profuso abbondante materiale relativo alla Rivolta, all'assedio delle Legazioni, alla spedizione internazionale e a quanto ne seguì e ne conseguì.
Una sola, personalissima vicenda, vale sempre la pena di ripescare dal cumulo di carte e dal tumulo di tutte le storie. Fu Guido Amedeo Vitale, barone e napoletano di Torre Annunziata, segretario interprete della Legazione italiana a Pechino dove giunse a vent'anni, nel 1892, con un diploma dell'Istituto Orientale e una disposizione per le lingue che lo condusse prima a padroneggiare il cinese poi il mongolo alla stregua di un cinese e di un mongolo. Era, per l'epoca, fatto più che eccellente eccezionale, perché gli asseverati studiosi italiani potevano tradurre i "Quattro Libri" e i "Cinque Classici" ma spesso avevano veduto la Cina solo nelle fotografie (valga l'esempio illustre del Puini). E' l'imperatrice vedova Ci Xi, che prende simpatia per il napoletano, a riconoscerlo come il solo straniero a Pechino che parli il cinese alla perfezione.
Spinto dalla curiosità che eccita in quegli anni fervori etnologici e folklorici (sono gli effetti del "Ramo d'oro" che pervadono per lungo tratto la cultura europea), il baroncino va in giro per la capitale e colleziona, con orecchio esercitato e pazienza, le filastrocche infantili, le nenie e i calembours puerili di cui altrimenti non sarebbe più rimasta traccia poiché snobbati da ogni cinese colto a dispetto di Kang You-wei e dei suoi riformatori visionari. Che persero - a seconda dei singoli destini - il cervello o la testa assieme al collo per aver sognato ma un po' troppo cartesianamente.
Vitale raccolse quel materiale folklorico con testo a fronte in inglese nel volume "Pekinese Rhymes", pubblicato nel 1896. E ancora "Chinese Merry Tales", del 1901 e una "Grammaire et vocabulaire de la langue mongole" in francese (1897). Qualcos'altro pure mise su carta dei suoi studi, anche se Giuseppe Tucci gli imputerà poi una "riluttanza a scrivere" "per una innata svogliatezza e pigrizia". Più che criticarlo, Tucci esprimeva il rammarico che le cose lasciate dal napoletano fossero "ben lontane dal dare un'idea della sua dottrina e tuttavia di gran valore". Pure rileva, fuor d'accademia, la sua attività giornalistica per "La Tribuna" di Roma, su cui firmò col nom de plume "Il Pekinese".
Oggi chi stanzia in Cina passa un riprovevole numero di ore al pc, negli Internet Cafè, per raccontare che sta in Cina. Nella Belle époque (che fu bella anche per questo), l'infaticabile Vitale si prendeva la briga adesso quasi desueta di andare sui posti - parlando la lingua - con l'intento di documentare all'Occidente i non propagandati aspetti della Rivolta dei Boxer. Non si condusse come Luigi Barzini che "Nell'estremo Oriente", da antesignano dell'inviato 'embedded', fa il fanfarone partecipando - almeno lo racconta - a certi safari umani contro i ribelli. Memorabile quello assieme ai cosacchi della Transbaikalia, che sortiscono all'alba per far strage di cinesi - e alla fine il capitano Makofkine domanda a Barzini: "Ma dite la verità, non vi siete divertito?".
I reportages di Vitale svelano tutt'altro sentimento, e non traspare solo pietas ma empatia quando riferisce sul landscape dopo l'intervento delle truppe internazionali: "Il panorama di distruzione si svolge lentamente davanti agli occhi con una monotonia deprimente. Non ho visto un solo cinese in tutto il tragitto. Pare che la madre terra li abbia inghiottiti e nascosti per difenderli davanti agli invasori. La campagna cinese è un vasto cimitero".
Allettato dalla possibilità di tornare in patria, nel 1914 Vitale abbandonata la 'Carriera' assume l'insegnamento di Lingua e Letteratura Cinese all'Istituto Orientale. Il suo tempo, il suo talento si spengono ancora troppo presto per un proiettile vagante sparato in una lite fra due delinquenti. La morte che non lo volle in Cina lo aspettava a Napoli.
di Francesco Palmieri
La miniserie verrà presentata giovedì 8 dicembre all'Istituto Italiano di Cultura di Pechino alle 18, in collaborazione con AgiChina24.
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