Tutti gladiatori nell'arena delle valute
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Tutti gladiatori nell'arena delle valute

Tutti gladiatori nell'arena delle valute

Le tensioni sui cambi - LO SCENARIO
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Se è una guerra, è ben strana. Non è dichiarata, non è neanche del tutto voluta, anche se i "vincenti" non ne disdegnano i vantaggi. In un mondo in cui tutte le banche centrali emettono moneta per lubrificare le economie la conseguenza non può che essere una "gara" delle valute a chi perde più valore; mentre gli investitori cercano quale grande moneta, inevitabilmente, dovrà apprezzarsi.
Il conflitto vero però non è dove sembra. Si dimentichino le polemiche tra Stati Uniti e Cina, o l'allarme del Brasile che per primo, dopo aver visto salire il suo real ha pronunciato la parola fatidica: «guerra». La vera battaglia non è lì, queste sono le schermaglie della politica, a volte drammatizzate dall'avvicinarsi delle elezioni americane di mid-term (e le presidenziali brasiliane). Anche solenni e altisonanti comunicati dei summit internazionali, l'ultimo quello del fine settimana, rischiano di risultare insiemi di parole vuote se non preceduti - sì, preceduti, non seguiti - da politiche coerenti.
Per ora non si vede però alcuna svolta. Ogni economia è costretta a mantenere politiche monetarie molto espansive senza curarsi delle conseguenze all'estero delle proprie scelte. Sono strategie cominciate subito dopo lo scoppio della crisi, che hanno già avuto modo di manifestare molti loro effetti.
Il primo vero allarme, allora, non è stato quello lanciato il mese scorso da Guido Mantega, il ministro delle Finanze brasiliano che ha parlato apertamente di «guerra delle valute», ma quello di Philipp Hildebrand, governatore della Banca nazionale svizzera, che nel marzo del 2009 promise di intervenire sui mercati per evitare che la moneta si apprezzasse troppo. All'epoca sembrò una dichiarazione di guerra in guisa di strategia difensiva. Era invece un segnale di pericolo, e il rialzo del franco svizzero è lì a dimostrarlo. Al confronto i recenti apprezzamenti dell'euro, ormai a 1,40 dollari malgrado una ripresa debole e tanti problemi fiscali, sono poca cosa (per quanto molto dolorosa invece per gli esportatori). Tra il 2003 e il 2007, quando la situazione globale era analoga - e nessuno parlava di guerra delle valute - era l'euro la grande moneta su cui si scaricavano tutte le tensioni. La moneta comune sfiorò 1,60 dollari ad aprile e poi a settembre 2008, quando le difficoltà finanziarie erano già evidenti (e la Bce fu più lenta della Fed a tagliare i tassi). Ora il mercato ci prova invece con lo yen e sfida la Nippon Ginko, la banca centrale di Tokyo, che è tornata a intervenire sui mercati dopo anni; e su alcune monete periferiche o emergenti.
È chiaro da dove arrivino le pressioni maggiori: dalla Federal reserve. Ha adottato una politica monetaria molto aggressiva che impatta sulla valuta internazionale, molto usata anche fuori dagli Stati Uniti. Al punto che la sua strategia sembra quasi avere effetti più evidenti all'estero che altrove. In Cina, per esempio: qui lo yuan è artificiosamente tenuto a un livello fisso con il dollaro e la liquidità generata dalla Fed, e lì indirizzata dai mercati, non trova "grandi muraglie" che tengano. Prende due strade: gonfia le riserve valutarie, che ormai hanno raggiunto i 2.500 miliardi di dollari, e spinge in alto le quotazioni delle case e dei titoli finanziari. Il paese è a rischio bolla ed è tutto il mondo a tremare con lui.
È per questo motivo che non si può dire chi sarà il vincitore. Le forze in gioco si compongono attraverso un mercato valutario mostruoso, che scambia 4mila miliardi di dollari al giorno (dei quali 1.100 soltanto sull'euro/dollaro) e dà immediata risonanza a qualunque cambiamento nelle aspettative. Pensare di governarlo è poco meno di un'illusione. Se ci si ferma ai primi effetti, si può pensare che - tra i grandi - il dollaro e la sterlina hanno buone chance di perdere terreno contro euro e yen, ma far previsioni non è così semplice. In Eurolandia pesa la crisi fiscale, che spaventa i risparmiatori; in Giappone la capacità della banca centrale di catturare gli investitori quando meno se l'aspettano - si chiama la "trappola degli orsi" - per vendere yen e riportare in basso il cambio.
Se poi si allarga il discorso a tutte le ricadute possibili di queste politiche espansive - rese necessarie, va ricordato, dalla crisi - ci si può tranquillamente chiedere se ci sarà un vincitore. Perché la risposta più vera è: «No». Per questo è necessario che scoppi la pace.
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Una strategia indiretta
Solo in un regime di cambi fissi si può parlare di una «guerra delle valute», combattuta dai governi che svalutano le monete. Avvenne negli anni 30, quando scattò una serie di svalutazioni competitive - accompagnate da politiche protezioniste - che generarono un disastro economico e, indirettamente la guerra mondiale. Oggi il deprezzamento delle valute sui mercati deve essere indotto, "giocando" con le aspettative degli investitori
Tassi e liquidità
Portare i tassi a zero e fornire poi al sistema finanziario tutta la liquidità che chiede impatta subito e con forza su tutte le quotazioni finanziarie, cambio compreso. Il deprezzamento della valuta è la conseguenza più probabile, mitigato o rafforzato dalle aspettative sulle future mosse delle banche centrali
Asimmetrie
Le asimmetrie fanno il resto: le valute hanno diverse flessibilità e questo complica le cose. L'euro e il dollaro sono liberamente fluttuanti, difficilmente lo yen supererà certe soglie, mentre lo yuan è fisso come molte valute dell'area del dollaro

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Bce
È la Banca centrale che sovrintende all'area monetaria della moneta unica europea. Dal primo gennaio 1999 svolge, per i paesi dell'area euro (oggi sono 16), la sua missione di regolare la creazione di moneta e mantenere l'inflazione bassa (l'obiettivo è del 2%).

Fed
È la Banca centrale Usa, istituita nel 1913. La Fed ha come missione quella di promuovere la stabilità monetaria e la massima occupazione. Una missione doppia, che è unica nel panorama delle Banche centrali.

Banca Popolare Cinese
Detiene il potere di gestione della politica monetaria e il potere di regolamentazione delle istituzioni finanziarie della Cina continentale.

Bank of Japan
La BoJ è la Banca centrale del paese nipponico, fondata nel 1882 a seguito di un atto della dinastia Meiji. La nascita della banca fu un passo naturale a seguito dell'atto New Currency Act della dinastia Meiji che stabilì anche che la valuta nazionale sarebbe dovuta essere lo yen, che divenne però l'unica moneta giapponese soltanto a partire dal 1899, anno in cui le vecchie monete giapponesi furono messe fuori corso di validità.

Svalutazione
È la perdita di valore di qualsiasi bene, strumento finanziario, valuta. Si parla di svalutazione di una moneta rispetto a un'altra quando si opera in un regime di cambi fissi; quando invece ci si trova in un regime di cambi variabili si parla di deprezzamento della moneta.

Quantitative easing

È la politica monetaria scelta dalle Banche centrali dopo la crisi: ridotti i tassi a zero, la Federal Reserve e la Bank of Japan (BoJ) – in misura minore la Bce – hanno acquistato titoli di Stato e obbligazioni in cambio di moneta "creata dal nulla", di cui quindi è aumentata la quantità. La massa di denaro messa così in circolazione, in situazioni normali, dovrebbe spingere subito le quotazioni finanziarie, nel giro di qualche mese l'attività produttiva ed entro un paio d'anni i prezzi. Ma si teme che il meccanismo di trasmissione si sia inceppato.

25/10/2010
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