Troppe riserve nel forziere cinese
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Troppe riserve nel forziere cinese

Troppe riserve nel forziere cinese

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Stanno crescendo le pressioni per il riequilibrio dell'economia mondiale. Da molto tempo il settore privato cerca di convogliare ingenti flussi di capitali dai relativamente fiacchi Paesi ricchi ai dinamici emergenti. Ma i Governi di questi ultimi hanno opposto resistenza, intervenendo sui mercati valutari e trasformando questi capitali in riserve valutarie ufficiali. Ma è probabile che le forze attualmente operanti nell'economia mondiale portino alla naturale conclusione di questo riciclo.
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Mervyn King, governatore della Banca d'Inghilterra, ha tracciato un quadro del ruolo giocato dai cosiddetti squilibri globali. Questo "flusso a monte" di capitale dai Paesi poveri verso i Paesi ricchi, soprattutto verso asset presunti sicuri, ha avuto importanti conseguenze: una riduzione del tasso d'interesse reale; un aumento nel prezzo dei beni, soprattutto dei beni immobiliari, in diversi Paesi, non ultimi gli Usa; una spinta verso la realizzazione degli utili; un'ondata d'innovazione finanziaria alla ricerca di attività a maggiore rendimento ma presumibilmente sicure; un boom nell'edilizia residenziale e ultimamente un'enorme crisi economica. La colpa è delle follie della finanza e dell'inadeguatezza della regolamentazione. Ma sono stati gli sviluppi globali - non solo il cosiddetto "eccesso di risparmio" ma anche la forma che hanno preso questi flussi - a contribuire a creare le condizioni per il disastro. In effetti c'è una chiara correlazione tra l'aumento di prestiti in sofferenza durante la crisi e lo stato iniziale della bilancia dei pagamenti nei vari Paesi.
King fa notare anche che il fattore determinante sottostante è stato il crescere dei risparmi, in regioni già eccedentarie, persino in misura maggiore rispetto alla crescita dei loro investimenti. In un altro recente rapporto per Morgan Stanley (The Great Rebalancing - Il grande riequilibrio), Alan Taylor e Manoj Pradhan mostrano la stessa cosa, stavolta specificamente per i Paesi emergenti.
Ma allora perché si è verificata questa impennata nei risparmi? King avanza tre spiegazioni: un cambiamento in direzione della promozione dell'export, che ha reso necessari tassi di cambio reali molto competitivi; la decisione di accumulare riserve di valuta estera in seguito alla crisi economica degli anni 90; e la combinazione di bassi livelli di sviluppo economico e inadeguate reti di protezione sociale, che ha favorito l'aumento del risparmio. In Cina dobbiamo anche aggiungere la grossa crescita nei profitti societari.
Qualunque sia stato il ruolo dei flussi a monte del capitale nell'insorgenza della crisi, argomento su cui regna la controversia, c'è accordo sul fatto che per una piena ripresa è necessario un riequilibrio. Nel mondo del dopo-crisi, è probabile che la spesa interna negli Usa e negli altri Paesi colpiti, in precedenza esuberante, sarà debole in concomitanza con la riduzione dell'indebitamento. Le aziende non appartenenti al comparto finanziario hanno presentato a lungo surplus finanziari (un eccesso di riserve di utili rispetto agli investimenti). Ciò ha lasciato i Governi con grossi deficit. Perché sia possibile ridurli, sostenendo al tempo stesso la ripresa, sono necessari massicci cambiamenti nella bilancia con l'estero.
Potrebbero verificarsi? Il rapporto di Morgan Stanley sostiene di sì, per quattro ragioni. In primo luogo, le riserve di valuta estera hanno provato il loro valore durante la crisi, permettendo alle economie emergenti di restare sorprendentemente indenni. Ma la crisi ha anche mostrato che le riserve esistenti sono più che sufficienti. La riduzione nelle riserve di valuta estera tra settembre 2008 e febbraio 2009 è stata di 428 miliardi di dollari, appena sotto il 6% del totale globale. Nell'insieme, i detentori di riserve hanno mostrato di essere più che adeguatamente assicurati anche contro la peggiore crisi verificatasi dagli anni 30. Inoltre il costo di tenere delle riserve in un'epoca di tassi d'interesse bassissimi nei paesi le cui valute vengono usate a questo scopo, è anch'esso alto. In Cina attualmente questo costo potrebbe ammontare all'1,5% del Pil. Inoltre una crescita guidata dall'esportazione è molto meno attraente in un'epoca di restrizione del consumo nei Paesi ricchi.
In secondo luogo, esiste una domanda trattenuta di maggiori investimenti sia nei Paesi avanzati sia in quelli emergenti. La Cina è una grande eccezione, col suo tasso d'investimento già straordinario. Ma il tasso d'investimento indiano potrebbe fare un balzo in avanti, soprattutto nelle infrastrutture. In più il crescente contributo dei Paesi emergenti nella produzione mondiale già di per sé alzerà sostanzialmente il tasso d'investimento globale.
In terzo luogo, nei Paesi emergenti il consumo probabilmente crescerà molto. Questo è un obiettivo specifico del Governo cinese, che si è reso conto dei pericoli di fare affidamento sulla domanda dei Paesi ad alto reddito. Infine, nel breve periodo, è probabile che nei Paesi avanzati crescano i risparmi privati. Ma, nel lungo periodo, l'età li ridurrà, anche se non abbastanza per bloccare il riequilibrio.
Il rapporto conclude che tra gli effetti di questi cambiamenti avremo un aumento dei tassi d'interesse reali, un riequilibrio globale e una crescita dei tassi di cambio reali nei Paesi emergenti. Quest'ultimo fenomeno può prodursi attraverso un aumento dei tassi di cambio nominali o un aumento dell'inflazione. Molte economie emergenti stanno raggiungendo il livello massimo di tolleranza dell'inflazione. Ciò fa pensare che una più rapida rivalutazione sarà una parte determinante nel mix di strategie economiche, anche in Cina. Per il Governo cinese un'inflazione alta è un disastro, molto più grave di una modesta perdita di competitività con l'estero. Se la Cina lasciasse salire lo yuan più velocemente, probabilmente altri Stati seguirebbero l'esempio.
Tutto sommato i cambiamenti descritti sembrano plausibili. Ma probabilmente comporteranno notevoli sofferenze. Un aumento nei tassi d'interesse reali aumenterebbe le difficoltà dei soggetti super indebitati, che siano cittadini privati o Governi. Inoltre i Paesi emergenti opporrebbero resistenza ai cambiamenti prospettati: tra febbraio 2009 e dicembre 2010 le riserve globali si sono alzate di altri 2.192 miliardi di dollari. Questo tasso di accumulo è senza dubbio destabilizzante ma è ancora in corso. Non farò previsioni su quando potrebbe finire. Ma posso dire che 9mila miliardi di dollari sono senza dubbio sufficienti.
La discussione sul futuro del sistema monetario globale è in corso. Ma, del tutto pragmaticamente, i Paesi emergenti lo stanno modificando per conto loro. Hanno deciso di proteggersi contro i capricci della finanza globale accumulando titoli sugli emittenti di valute di riserva. Questo fenomeno dovrà certamente finire, soprattutto ora che l'inflazione diventa più temibile. Inoltre le forze strutturali probabilmente genereranno il necessario "grande riequilibrio". Ma siamo appena all'inizio della strada verso questo obiettivo. Attenzione: probabilmente è una strada accidentata.
Traduzione di Elisa Comito
© FINANCIAL TIMES

06/04/2011
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