Tra Italia e Cina alleanza nel fashion
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Tra Italia e Cina alleanza nel fashion

Tra Italia e Cina alleanza nel fashion

Made in Italy. Al forum di Pechino definito un piano di collaborazione che coinvolge le Camere della moda dei due Paesi
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PECHINO. Dal nostro inviato
Il gran salto è compiuto. Le due Camere della moda, italiana e cinese, onorano uno storico committment nell'unico modo possibile: rimboccandosi le maniche e lavorando gomito a gomito. Il Sino-Italian fashion forum, che si conclude oggi a Pechino, vede i due sistemi all'opera nell'attuare i nove punti del protocollo del marzo scorso con il quale Italia e Cina hanno deciso di collaborare strategicamente, segnando una svolta storica per il futuro di entrambi. E nel marzo 2012, a un anno dalla prima firma, scatta il primo obiettivo dichiarato: una significativa presenza di aziende italiane con Milano Moda Showroom a Pechino per Chic, grazie agli accordi con il presidente della fiera, Chen Dapeng. Poi una sfilata di marchi del prêt-à-porter italiano, da realizzare in una location di eccellenza. Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della moda, torna con la memoria all'accordo, altrettanto storico, siglato coi francesi nel 2000. «Prima della Cina è l'unico altro Paese al quale abbiamo accordato la nostra collaborazione, un'intesa che ci ha permesso di ottenere ottimi risultati. Era però un accordo tra simili, i due inventori di alta moda e prêt-à-porter, questo è un accordo tra grandi filiere, tra i due grandi sarti del mondo, noi italiani maestri nel top di gamma, loro nella produzione diffusa. Diversi, ma complementari».
Pauline Su, presidente del China fashion association, quella identificata più affine, tra le tante organizzazioni del tessile e della moda, alla Camera italiana, parla francese, ha dimestichezza con i suoni italiani. «C'è una punta di orgoglio, per me, nel dire che vent'anni fa in Cina un vestito di Zegna a 10mila yuan sarebbe stato improponibile, oggi non più». E profetizza che se le griffe cinesi verranno in Italia (nel 2006 fu proprio Boselli a farle sfilare in occasione della settimana della moda milanese), si muoveranno sulle loro gambe.
Il tutoraggio del ministero del Commercio con l'estero sarà determinante, ma solo fino a un certo punto a dimostrazione che la svolta vale anche per i cinesi. Gli italiani collaborano poi con la Camera attraverso gli investimenti del fondo sino-italiano Mandarin, che fa loro anche da advisor. Il forum di Pechino, organizzato dalla Camera della moda in raccordo con le istituzioni italiane, in primis l'ambasciata guidata da Attilio Massimo Iannucci, ha offerto ai nostri marchi una platea cinese di qualità. Tra i protagonisti del forum Alberta Ferretti, Mila Schön, Byblos, Marni, Fendi, Caruso, Missoni, John Richmond, Miroglio, Les Copains, Piquadro, Furla, Alcantara, Trussardi, accanto ad altri attori chiave del sistema, Sari Spazio (showroom), Pitti immagine, Innext. Per i cinesi, gli imprenditori e gli stilisti di Sunfed, Anzheng, Eve, Rose couture, Mouse ji, Zhaishi, Shanshan, Bosideng, NeTiger, Cabbeen, White Collar, tutti marchi emergenti.
Le forze in campo sono quel che sono. L'Italia, con 700mila addetti, 70mila imprese, 62 miliardi di fatturato, ha esportato verso la Cina 6,7 miliardi e importato 862 milioni, con un saldo per l'Italia di superiore ai 5,8 miliardi. Il riequilibrio commerciale resta in cima alla lista degli obiettivi cinesi. Poi c'è il rispetto delle regole, la progettazione, la distribuzione, le alleanze. Non è che la Cina non abbia i suoi problemi, come spiega Zhao Hong, a capo del China knitting industry association: «Crisi a parte, il nostro tessile ha tenuto duro. All'aumento del costo del lavoro del 20% i cinesi hanno risposto con la delocalizzazione delle lavorazioni più basse in Vietnam. Ma nello Zheijang, patria del tessile, il vero problema ora è il credito, gli investimenti nell'immobiliare fatti dalle industrie rischiano di diventare un boomerang. La stretta delle banche e l'aumento dei tassi esiste anche qui».
«Grandi crescite – conclude Boselli – danno l'opportunità di grandi soluzioni. Ma quando l'economia non cresce, ogni contraccolpo diventa uno tsunami». Fuori, Pechino è in piena fashion week. C'è entusiasmo tra gli addetti ai lavori, ma il pubblico sembra lento di riflessi, c'è ancora tanta strada da fare per raggiungere la maturità delle sfilate milanesi. Sarà per questo che certi media locali sembrano coglierlo ironizzando, in inglese, sul termine weak (debole) al posto di week (settimana).
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26/10/2011
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