Roma, 7 lug.- A fine giugno ha fatto scalpore la notizia divulgata dal ministero della Pubblica Sicurezza cinese della distruzione di una cellula terroristica, attraverso l'arresto di 10 persone collegate all'East Turkestan Islamic Movement (ETIM, organizzazione militante sostenitrice della creazione dello Stato islamico indipendente del Turkestan Orientale). Alcuni individui sono ritenuti responsabili di violenti attacchi indirizzati contro la polizia di frontiera nella città di Kashgar in cui rimasero uccise 17 persone e ferite 15 , nonché di atti terroristici avvenuti sempre nel 2008 durante le olimpiadi di Pechino. Sembra che due uomini avessero tentato la fuga contattando via email il leader del gruppo terroristico ETIM, allo scopo di ottenere cartine stradali per tentare di passare il confine (probabilmente con la Cambogia) ma nel mese di dicembre sono stati rimpatriati. Il portavoce del ministero, Wu Heping, durante una conferenza stampa ha precisato che: "Lo smantellamento di questo grande gruppo terroristico ancora una volta prova che East Turkestan Islamic Movement costituisce il principale minaccia terroristica che la Cina deve e dovrà fronteggiare".
La notizia ha riportato alla ribalta membri del World Uyghur Congress (WUC) -organizzazione internazionale che riunisce Uiguri esiliati e che rappresenta gli interessi della popolazione uiguri dentro e fuori dallo Xinjiang- come la presidentessa Rebiya Kadeer e il portavoce Dilxat Raxit i quali sostengono che la scelta di divulgare la notizia a pochi giorni dall'anniversario dei disordini avvenuti il 5 luglio dell'anno scorso nella Regione Autonoma dello Xinjiang in cui persero la vita 200 persone per lo più di etnia Han e ne rimasero ferite oltre 1700, sia una manovra politica allo scopo di aumentare le pressioni sull'area. Il governo di Pechino, ha sottolineato che le indagini hanno messo in luce come dietro le manifestazioni violente di cui la regione è stata teatro, ci sia proprio la mano del WUC che verrebbe così collegata a movimenti fondamentalisti islamici legati ad al-Qaeda. Rebiya Kadeer la "guerriera gentile", ha più volte denunciato dall'estero la situazione di oppressione subita dal suo popolo spesso oggetto, secondo le sue testimonianze, di torture, arresti ed esecuzioni. Kadeer afferma che il suo è un popolo pacifico, che chiede solo il rispetto dei diritti umani e la protezione della propria cultura e delle proprie tradizioni e che non ha nulla a che vedere con il terrorismo, di cui comunque la donna non nega l'esistenza.
L'occidente si spacca in due di fronte alla questione dello Xinjiang. Una parte sostiene la causa uigura: Amnesty International circa un anno fa ha riportato, in un comunicato, notizie sull'inasprimento della repressione attuata nella regione dal presidente Hu Jintao attraverso misure che testimoniano il fallimento nel fronteggiare la violazione dei diritti umani nello Xinjiang. "La leadership cinese dovrebbe concentrarsi sulle tristi condizioni che molti uiguri affrontano e dare una risposta con un'indagine credibile, veritiera e trasparente sulle recenti proteste" - ha dichiarato Roseann Rife, vicedirettrice del Programma Asia e Pacifico di Amnesty International. Il Governo di Pechino viene quindi accusato di rilasciare dichiarazioni e fornire prove unilaterali e tutt'altro che incontrovertibili. Inoltre, sin dai primi attacchi a civili portati avanti da estremisti musulmani negli anni '90, è stato chiesto alle autorità cinesi di ripristinare l'ordine e garantire la sicurezza senza ricorrere a un uso eccessivo della violenza -le proteste avvenute nella città di Barren nel 1990 e nella città di Gulja nel 1997, si sono concluse con la morte di manifestanti e con migliaia di arresti- e all'estensione delle misure repressive anche a persone non coinvolte nelle proteste, come ad esempio l'arresto l'anno scorso di Ilham Tohti, redattore del sito "Uiguri on line" e professore di economia all'Università centrale per le nazionalità di Pechino, che spesso nel suo blog aveva espresso la propria opinione sull'attuale situazione dello Xinjiang.
L'altra parte dell'occidente, nell'atmosfera di lotta a terrorismo sulla scia dei tragici fatti dell'11 settembre, ha modificato la propria posizione dichiarando il proprio sostegno alla Repubblica Popolare Cinese nella lotta di movimenti estremisti e indipendentisti islamici, già colpevoli di destabilizzare l'armonia nazionale. Conseguentemente nel 2002, ETIM, nel ruolo di una delle più importanti organizzazioni separatiste, è stata inserita dall'Onu nella lista nera delle organizzazioni terroriste legate ad al-Qaeda, favorendo così la cooperazione della comunità internazionale nella lotta al terrorismo in Cina. Secondo Pechino, la Regione Autonoma dello Xinjiang è quindi costantemente minacciata dall'operato di terroristi uiguri che promulgano l'indipendenza della regione, i cui leader collaborerebbero con WUC, impegnato nel raccogliere fondi all'estero e allo stesso tempo nel reclutare e addestrare nuovi membri per le organizzazioni terroristiche.
Il terrorismo e i movimenti indipendentisti dello Xinjiang sono una realtà: "Il conflitto dell'Afghanistan e la fondazione di nazioni indipendenti nell'Asia centrale ex sovietica, infatti, non hanno solo rinvigorito la fede islamica delle popolazioni musulmane turcofone dello Xinjiang, ma anche ispirato la nascita di movimenti, spesso violenti, che incitano alla lotta contro Pechino e auspicano l'indipendenza della regione come Repubblica del Turkestan Orientale. Nonostante la potenziale gravità dei fermenti etnici sviluppatisi nello Xinjiang nell'ultimo decennio, la spinosa questione dell'Asia centrale cinese è, oggi come oggi, assai meno conosciuta rispetto a quella del Tibet," afferma la sinologa Chiara Betta. Basti pensare che la Regione ha già proclamato la sua indipendenza per due volte, negli anni trenta e a metà degli anni quaranta, sotto il nome di Turkestan orientale con cui gli Uiguri tutt'oggi preferiscono indicare la propria patria. Tuttavia secondo gli analisti del Center for Strategic and International Studies in Washington, D.C. Il Governo cinese tenderebbe ad esacerbare la situazione servendosi di generalizzazioni, inoltre i dati del rapporto sui diritti umani del Dipartimento di Stato statunitense rilasciato nel 2007 metterebbero in evidenza il susseguirsi di repressioni nei confronti degli Uiguri musulmani in nome dell'antiterrorismo. Una realtà facilmente accostabile a quella tibetana.
Ma quale è la realtà di questa area e dei suoi abitanti? Lo Xinjiang è da sempre una regione strategica per la Cina: attraversata dalle leggendarie vie della Seta, che mettevano in contatto il Paese di Mezzo con l'Occidente, la regione è il principale fornitore di gas naturale del Paese e un territorio ricco di giacimenti petroliferi. Sebbene sotto il controllo cinese fin dall'ultima dinastia -che le diede il nome attuale (letteralmente "Nuova Frontiera")- lo Xinjiang presenta tuttora caratteristiche peculiari che ne sottolineano il forte legame con l'Asia centrale ed è una di quelle province che più si discostano dagli usi e costumi dell'etnia dominante degli Han. Storicamente la popolazione era costituita in maggioranza di Uiguri, turcofoni e musulmani, che preferiscono riferirsi alla propria terra con i termini di Uiguristan, Turkestan Orientale o Turkestan Cinese. Oggi, in seguito alle ripetute ondate migratorie verificatesi nel corso degli anni, la percentuale di residenti Han ha raggiunto il 40%, mentre quella degli Uiguri si attesta intorno al 45%: una maggioranza non più netta che spesso, in alcune grandi città gestite per lo più da cinesi, rappresenta la minoranza. A queste si aggiungono poi altri gruppi etnici che costituiscono una percentuale piuttosto bassa della popolazione.
I rapporti tra quelle che oramai sono le due principali etnie hanno attraversato fasi alterne. Negli anni immediatamente successivi al 1949, i cinesi Han che emigravano nella "Nuova Frontiera" erano generalmente bene accetti (o comunque tollerati), soprattutto per la loro tendenza ad adattarsi ai costumi locali. A partire dalle ondate migratorie del 1990 la convivenza si è fatta però più difficile: l'occidente della Cina è divenuto una sorta di nuovo Far West che ha attirato molti cinesi Han grazie alla ricchezza di risorse dello Xinjiang, ma soprattutto a fronte di forti incentivi statali che rientrano nella cosiddetta "Go-West policy", la politica varata dal governo per promuovere lo sviluppo delle zone occidentali. Con l'arrivo dei migranti, anche la lingua e la cultura Han sono giunte nella provincia e questo ha provocato un progressivo affiancamento delle due culture tanto che negli ultimi anni il mandarino sta prendendo il sopravvento sull'uiguro, aiutato anche dalla politica di sinizzazione adottata dal governo che prevede il graduale abbandono dell'insegnamento bilingue. Pechino ritiene tali misure necessarie a rendere gli studenti delle minoranze più competitivi sul mercato, ma per molti uiguri invece queste rappresentano solo una ulteriore minaccia alla lingua e cultura tradizionali.
La cosiddetta "sinizzazione" della popolazione attuata dal governo, passa anche attraverso un progetto di ricostruzione socio-economica dell'area il cui fine ultimo è migliorare le condizioni di vita degli abitanti e garantire la stabilità sociale. La minoranza uigura è stata l'unica, insieme al Tibet, a avanzare le proprie rivendicazioni indipendentiste al governo, a compiere atti terroristici e a dare vita a numerose rivolte spesso taciute dai media. Da questo punto di vista, il raggiungimento della stabilità sociale, che di fatto passerà per una crescita economica secondo i piani del governo, è di fondamentale importanza in vista della costruzione di quella "società armoniosa" tanto sognata dai leader cinesi.
Il Governo di Pechino, per arginare le spinte separatiste e porre un freno al terrorismo, fa appello alla storia sottolineando che lo Xinjiang sia da sempre strettamente connesso alla Cina. Per dare forza e giustificare questa asserzione, storici ed archeologi cinesi hanno 'scoperto' nella zona di Lop Nor nello Xinjiang occidentale resti della Grande Muraglia risalenti alla dinastia Han, in realtà una struttura non uniforme e costruita in vari periodi.
E se gli Uiguri rivendicano un'indipendenza che la Cina non è disposta a concedere, quello che spaventa di più i cinesi negli ultimi anni sembra essere soprattutto la diffusione dell'islamismo interpretato come ideologia politica e la crescente influenza esercitata da autorità religiose radicali disseminate nelle oasi del Tamir che sostengono l'idea di una guerra santa contro gli infedeli, o in altre parole, contro il governo di Pechino. C'è però da dire che in altre zone della regione la situazione sembra essere più tranquilla, per esempio a Turfan, dove le relazioni tra le due etnie maggioritarie non sono caratterizzate da continue tensioni. Le zone più esposte alla violenza armata si concentrano soprattutto nel sud dello Xinjiang dove la presenza cinese è ancora limitata.
Quello che evidentemente si configura come uno scontro di culture, iniziato da tempo immemore (la prima "jihad" contro la Cina risale al 1820), non sembra certo destinato ad esaurirsi a breve dal momento che nessuna delle due parti sembra disposta per il momento a un vero dialogo.
Di Valeria Puntillo e Dario Fiorucci
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