TIBETANO SI IMMOLA PER PROTESTA CONTRO PECHINO, E' 134MO
di Sonia Montrella
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Roma, 17 dic.- Un tibetano di 33 anni è morto dopo essersi dato alle fiamme fuori dalla centrale di polizia di una città della provincia cinese del Gansu per protestare contro il governo di Pechino. Lo riferscono Radio Free Asia e l'associazione con base a Washington International Campaign for Tibet (ICT). L'autoimmolazione contro la gestione cinese dei territori abitati dai Tibetani è la prima da tre mesi e la 134ma dal 2009. Non è un caso che Sangye Khar abbia deciso di immolarsi ieri - la notizia è stata diffusa oggi -: nella città di Amuqu nella contea di Sangchu, o Xiahe in cinese, dove ha sede il monastero Labrang uno dei più importanti siti del Buddhismo tibetano, si festeggia in questi giorni l'anniversario della morte di Tsingkhapa, fondatore della Scuola dei Berretti Gialli risalente al 15mo secolo.
Per scongiurare una nuova ondata di autoimmolazioni e soffocare proteste anti-cinesi in occasione della festività, riferisce Radio Free Asia, le autorità avevano aumentato preventivamente la sicurezza, chiuso i collegamenti e bloccato internet in molte aree tibetane e nella regione autonoma del Tibet. Ed è stata proprio questa mossa che ha convinto Sangye Khar a compiere il gesto estremo.
Come lui, la maggior parte dei tibetani in Cina accusa il governo di reprimere la religione ed erodere la cultura tibetana, soprattutto attraverso la massiccia affluenza di cinesi han - l'etnia più numerosa del Paese- nelle loro aree.
Pechino condanna le autoimmolazioni e accusa il Dalai Lama, leader spirituale del governo tibetano in esilio in India dal 1959, di servirsi delle immolazioni per raggiungere i suoi scopi separatisti. Da parte sua, in risposta all'accusa, il Dalai Lama ha abdicato al suo ruolo politico nel 2011 e ha più volte ripetuto di non poter fare nulla contro il gesto estremo di persone guidate dalla disperazione.
Poi, lo scorso settembre Tenzin Gyatso - questo il suo nome - ha confermato al quotidiano tedesco che Welt am Sommtang che la reincarnazione del Dalai Lama, una tradizione vecchia di 5 secoli e uno dei prinicpi della dottrina religiosa, si esaurirà molto probabilmente con la sua morte. "L'attuale Dalai Lama è molto popolare. Terminiamo il ciclo con un Dalai Lama popolare" ha detto il leader spirituale aggiungendo che il buddhismo tibetano ha un'ottima struttura e non dipende da una singola persona.
La risposta della Cina non ha tardato ad arrivare: "la successione deve avvenire secondo procedure religiose e storiche" ha osservato il portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying. Dietro il botta e risposta, per gli esperti, il tentativo del Dalai Lama di fermare Pechino, che dopo la morte di Tenzin Gyatso con molta probabilità nominerebbe un Dalai Lama cinese, quindi allineato al governo.
Il Leader spirituale è da poco tornato in India dopo aver preso parte a Roma al summit dei Premi Nobel per la Pace. Un appuntamento che per molti avrebbe potuto rappresentare l'occasione per un incontro tra Papa Francesco e il Dalai Lama. Incontro che non c'è mai stato sebbene Bergoglio abbia fatto sapere di "provare grande stima" per il Dalai Lama.
E' noto che le trattative tra Pechino e la Santa Sede sono a una svolta positiva e quindi si puo' ritenere che dietro la mancata udienza al Dalai Lama ci sia un'estrema cautela della Santa Sede che non vuole si richiuda lo spiraglio faticosamente aperto nelle trattative riservate delle scorse settimane.
Il Dalai Lama non si è scandalizzato per il rifiuto di Papa Francesco ad incontrarlo. "Io sono un uomo pacifico ma c'e' gente che mi evita. Non c'e' problema. Lo accetto", ha dichiato.
Il gesto di Bergoglio è, invece, "stato notato" dalla Cina che per bocca del portavoce del ministero degli Esteri, Qin Gang, ha spiegato che Pechino "continuerà a tenere un dialogo costruttivo con la santa sede".
17 dicembre 2014
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