Modificare i parametri del tasso di cambio dello yuan? I tempi sono maturi, almeno a detta di Fan Jianjun, un analista finanziario del Centro di Ricerche sullo Sviluppo, uno dei think-tank sotto l'ala protettrice del Consiglio di Stato, il governo di Pechino. "Procedere verso una riforma del tasso di cambio adesso non condurrà a un consistente apprezzamento dello yuan- ha detto Fan nel corso di un'intervista pubblicata dal China Economic Times- e non provocherà nessun impatto significativo sull'economia. La pressione sulla valuta si sta riducendo e il tasso di cambio è vicino ai valori che sarebbero determinati dal mercato. Questo è il momento migliore per proseguire sul cammino delle riforme". Lo yuan-renminbi è da mesi al centro di un braccio di ferro tra la Cina e il resto del mondo: se Pechino, da un lato, insiste a mantenere l'ancoraggio al dollaro lanciato quasi due anni orsono per fronteggiare la crisi, sostenendo che gli attuali tassi servono a proteggere i posti di lavoro ed evitare l'afflusso di capitali speculativi dall'estero, Stati Uniti ed Unione europea accusano la Cina di mantenere artificialmente basso il valore della sua moneta per ottenere vantaggi sleali nel commercio estero. Lo yuan è una divisa non convertibile che a partire dal 2005 era stata lasciata fluttuare all'interno di una banda di oscillazione molto rigida, che aveva consentito comunque un apprezzamento di circa il 20%; il processo di riforma del tasso di cambio del renminbi è stato interrotto da Pechino alle prime avvisaglie dell'aggravarsi della crisi finanziaria globale. Quella di Fan è solo l'ultima di una serie di voci autorevoli che nei mesi scorsi si sono levate in un continuo rincorrersi di dichiarazioni, proposte e smentite: se il governo continua a sostenere che la Cina "riformerà il tasso di cambio dello yuan al proprio ritmo e secondo le proprie esigenze", da tempo gli ambienti della Banca centrale sembrano lievemente più possibilisti e, pur dichiarandosi contrari ad ogni apprezzamento improvviso, sembrano aperti a un progressivo ritorno al meccanismo utilizzato prima del 2008. Nell'aprile scorso il Segretario del Tesoro USA Timothy Geithner aveva ritardato la pubblicazione di un rapporto da presentare al Congresso che, se avesse bollato ufficialmente la Cina come "manipolatrice di valuta", sarebbe stato capace di innescare una spirale di ritorsioni commerciali tra i due paesi; ieri, però, al termine della riunione dei ministri finanziari del G20, Geithner ha nuovamente rinnovato il richiamo ad una riforma del tasso di cambio della divisa cinese. "Ritengo che la Banca centrale debba gradualmente rivedere il suo ruolo nella determinazione del tasso di cambio- ha concluso Fan Jianjun nell'intervista- e diventare una sorta di supervisore, concentrando i propri sforzi nell'assicurare una continua e sicura crescita dell'economia": un'affermazione che, una volta di più, potrebbe rimarcare la differenza di posizioni tra governo e People's Bank of China.
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