Pechino, 8 feb.- Pechino sta accumulando riserve strategiche di minerali terre rare? Nonostante il silenzio del governo e della Baoutou - il colosso cinese del settore - molti comunicati governativi e articoli comparsi sui media locali sembrano confermare l'ipotesi sostenuta dal Wall Street Journal. Della necessità di trattenere una quota strategica di questi 17 metalli, in realtà, in Cina si discute da mesi: già a settembre, nel corso di un forum, il presidente delle associazioni di settore Xu Xu, aveva parlato genericamente di "riserve di minerali", mentre a novembre uno dei dipartimenti dell'Ufficio Nazionale Sviluppo e Riforme - il principale organo di pianificazione economica di Pechino - aveva reso noto un progetto riguardante almeno 10 diversi tipi di risorse.
Che cosa è cambiato da allora? Diverse fonti della stampa cinese riferiscono che nella provincia della Mongolia Interna sarebbe in corso la realizzazione di centri di stoccaggio con una capacità superiore alle quasi 40mila tonnellate di terre rare che il Dragone ha esportato nel 2010. Ma se già Corea del Sud e Giappone avevano annunciato iniziative simili - mentre negli Stati Uniti è in corso un dibattito sulla questione -, la posizione della Cina è determinante per gli equilibri globali: Pechino, infatti, detiene da sola circa il 50% delle riserve stimate di minerali terre rare e controlla circa il 90% del totale dell'attuale offerta globale.
I minerali terre rare – un gruppo di 17 metalli che occupano i posti più bassi nella Tavola Periodica degli Elementi -, pur essendo più diffusi di quanto non farebbe pensare la loro denominazione sono estremamente pregiati: si tratta di risorse ormai indispensabili per la produzione di un'ampia serie di articoli high tech, dai Blackberry agli iPod, dalle batterie per telefoni cellulari alle turbine eoliche, dai sistemi di controllo dei missili balistici e dei carri armati fino ai motori elettrici per automobili ibride. Che il controllo delle terre rare costituisse un potente strumento nelle mani del governo di Pechino era già emerso negli ultimi mesi in diverse occasioni. Ad agosto Jiangxi Copper Corp e Baoutou, le due aziende leader del settore, avevano annunciato la messa a punto di un meccanismo unificato per determinare i prezzi di queste risorse, contribuendo di fatto a un rialzo dei prezzi a livello mondiale, tanto che tra luglio e dicembre i costi risultavano quasi quadruplicati. Per i primi sei mesi del 2011, inoltre, la Cina ha annunciato un taglio di circa il 35% delle quote destinate all'esportazione (questo articolo), mentre a novembre, nel corso della crisi delle isole Diaoyu-Senkaku tra Tokyo e Pechino, il Giappone ha lamentato un blocco delle esportazioni dalla Cina lungo almeno una settimana, peraltro sempre smentito dalle autorità cinesi (questo articolo) . Fino al 2009 l'Impero di Mezzo aveva garantito la maggior parte delle forniture mondiali di terre rare - la cui estrazione comporta in effetti notevoli costi ambientali che altre nazioni non intendevano sostenere- ma le nuove restrizioni all'export, secondo Pechino, sono determinate dalla volontà di ridurre l'inquinamento e favorire le produzioni ad alto contenuto tecnologico sul territorio nazionale. E mentre il Dragone decide di trattenere per sé quote sempre maggiori, società minerarie come l'americana Molycorp e l'australiana Lycos riprendono gli scavi di filoni abbandonati da tempo, e le mosse della Cina suscitano preoccupazione su tutti i mercati.
La creazione di riserve strategiche potrebbe accelerare la controversia in sede WTO nella quale molti importatori minacciano di trascinare la Cina? In realtà, secondo molti analisti, anche l'esito di un giudizio dell'Organizzazione Mondiale per il Commercio sarebbe tutt'altro che scontato: il trattato che istituisce l'Organizzazione con base a Ginevra bandisce ogni tipo di divieto o limitazione alla libera circolazione delle merci, comprese le quote di esportazione, ma la regola generale ammette una lunga e complicata serie di eccezioni. Un Paese, ad esempio, può limitare l'esportazione di determinati prodotti «per conservare risorse naturali esauribili», purché però ne limiti contemporaneamente anche la produzione e il consumo locali: cosa che la Cina afferma in effetti di fare (e provare il contrario non sarebbe facile). Non solo. La Wto permette addirittura di restringere l'export di materie prime per rifornire l'industria nazionale, se questo non crea una discriminazione ai danni dei concorrenti stranieri. La frase attribuita a Deng Xiaoping – "Il Medio Oriente ha il petrolio, ma la Cina ha le terre rare"-potrebbe diventare sempre più significativa.
di Antonio Talia
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