Tariffe commerciali: Usa attaccano, Cina ribatte

di Eugenio Buzzetti
Pechino, 7 mar. – Nuovo capitolo nello scontro commerciale Cina-Usa: mercoledì Pechino ha espresso tutto il suo disappunto per i dazi americani che incombono sulle merci cinesi. Secondo il ministro del Commercio cinese Chen Deming la decisione del Senato Usa che autorizza il Dipartimento del Commercio a imporre dazi sulle merci cinesi "non è in linea con le leggi internazionali" e "deve essere corretta".
"La Cina non è obbligata a sottostare a leggi e regolamenti interni dei singoli Stati non in linea con le regole delle organizzazioni internazionali", ha detto Chen in una conferenza stampa ai margini dell'Assemblea Nazionale del Popolo. La Cina, insomma, deve sottostare alle regole del WTO, al quale ha aderito nel 2001, e non a quelle americane.
Le misure approvate dal Senato, ieri, dopo il sì del Congresso, fissano uno schema di tariffe che era già stato progettato nel 2007 e che riguarda proprio l'import di merci provenienti da "economie non di mercato": una misura che colpisce direttamente Cina e Vietnam, alla quale manca solo la firma di Obama. La legge è stata approvata da un ampio schieramento bipartisan: "La Cina -spiega all'agenzia di stampa AFP il repubblicano Dave Camp, tra i promotori della norma- distorce il libero mercato perché concede enormi sussidi ai suoi produttori ed esportatori. Le nostre società non possono e non devono competere con le profonde tasche del governo di Pechino".
Chen Deming ribatte ricordando i sussidi statali che l'America ha concesso alle case automobilistiche fin dall'inizio della crisi economica sotto forma di iniezioni di liquidità. "La Cina non ha lanciato misure contro sussidi statali promossi da altri Paesi" ha affermato il ministro del Commercio di Pechino.
Secondo la Cina, la ragione dello squilibrio nella bilancia commerciale tra i due Paesi, che pende tutta a favore della Cina, è da rintracciare nel blocco esercitato sulla vendita di tecnologia americana e non nel tasso di cambio dello yuan o nei sussidi alle imprese cinesi. Posizione diametralmente opposta a quella Washington: è il sistema per fissare i tassi di cambio adottato da Pechino che rende possibile alla Cina di inondare i mercati con i suoi prodotti. In base ai calcoli di Washington, lo yuan viene regolarmente scambiato a un valore inferiore tra il 25% e il 40% rispetto a quello reale.
Pechino si era già opposta nell'ottobre scorso al tentativo statunitense di imporre dazi sulle sue merci. Al centro della disputa c'era l'opposizione di Pechino alla rivalutazione dello yuan, fortemente voluta dagli Stati Uniti. La legge proposta allora dal Congresso americano prevedeva l'imposizione di dazi sui Paesi che "manipolano artificialmente la loro moneta": la Cina, ancora una volta, era l'obiettivo principale. Durante la conferenza stampa di mercoledì, Chen Deming ha poi adottato la consueta formula sul tasso di cambio dello yuan, che "è rimasto all'interno di un "range ragionevole" e continuerà a "restare stabile". "In tempi di crisi tutti i Paesi dovrebbero mantenere stabile la propria valuta- ha concluso il ministro del Commercio cinese - le svalutazioni a catena non sono affatto auspicabili, perché minerebbero la ripresa a livello globale".
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