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In Cina esiste da due anni un'associazione no profit che cresce ogni giorno grazie alla passione dei suoi soci, per la maggior parte giovani italiani tra i 27 e i 35 anni. Molti sono imprenditori, altri ci provano, convinti che per sopravvivere alle difficoltà, spesso nascoste, del mercato cinese, e ai suoi scossoni, serva organizzarsi. Agim Cina non ha uffici: è nata su Facebook dall'iniziativa di pochi italiani che hanno trapiantato nella Repubblica popolare la già esistente Agim (Associazione giovani italiani nel mondo, riconosciuta dal Parlamento italiano) fondata quattro anni fa a Houston da una ragazza italiana poco più che ventenne e diffusa in venti paesi. Mancava la Cina.
Francesco di Lieto, oggi coordinatore nazionale di Agim Cina, aveva avuto l'idea di aprire su Facebook due gruppi, uno destinato ai sinologi e l'altro a tutti gli italiani in Cina. Iniziativa apprezzata da Agim, che gli ha chiesto di fondare un comitato cinese dell'associazione. «Siamo aperti a tutti i giovani, ma in Cina ci rivolgiamo in particolare ai professionisti. Abbiamo raggiunto i 704 iscritti e disponiamo di un database di 1.500 aziende italiane presenti in Cina che hanno la possibilità di accedere alla banca dati per selezionare i profili di cui hanno bisogno – spiega Di Lieto, che si occupa di consulenza e ha lavorato per istituti italiani – Intendiamo promuovere sempre di più l'inserimento nel mercato del lavoro con newsletter rivolte anche ai media, bandi di concorso e scambi».
Fondamentale per l'associazione è il networking che si muove sullo strumento agile di Facebook e in generale del web. Iscriversi è facile, non è necessario essere italiani né ci sono limiti di età. Basta accedere al sito, compilare un modulo e versare la quota simbolica, non obbligatoria, di 50 yuan (circa 5 euro). Chi semplicemente si "linka" al gruppo attraverso Facebook ha lo stesso diritto di partecipazione agli eventi organizzati dall'associazione. Forum e aperitivi in ristoranti italiani servono proprio a coltivare l'impegno degli iscritti, facilitando gli incontri e la messa a confronto delle esperienze. In questo periodo di crisi economica, per esempio, uno dei temi più dibattuti è se sia il caso di rimanere in Cina, e la risposta è per lo più affermativa.
Molto utile è anche il confronto con i soci più anziani (così un ragazzo appena arrivato ha la possibilità di interloquire con manager di importanti aziende italiane) e con gli stranieri: «Ogni paese esporta in Cina la propria realtà imprenditoriale. Gli Usa, per esempio, fanno grossi investimenti, sono coesi ma soprattutto curano la mediazione culturale, perché la gestione delle risorse umane è l'aspetto più importante. Le Pmi italiane, invece, giocano spesso al risparmio. Il risultato è che in Cina la pizza e il caffè sono americani e la moda francese. Un vero peccato se si considera che l'Italia è capace di produzioni che gli asiatici, e in particolare i cinesi, adorano». Anche per questo Di Lieto non ha dubbi: per un giovane italiano che voglia fare impresa, di spazio in Cina ce n'è molto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
08/12/2009
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