Il Dalai Lama a Taiwan la prossima settimana. Missione umanitaria o mossa politica che irriterà il governo cinese dopo gli addolcimenti bilaterali dell'ultimo anno? Ufficialmente l'obiettivo del viaggio del Dalai risponde alla prima ipotesi: il leader spirituale tibetano bollato dalla Cina come ''minaccia all'integrità nazionale'' visiterà lunedì la contea Kaohsiung devastata dal tifone Morakot, che due settimane fa ha provocato 461 vittime, per ''aiutare le anime dei morti a trovare la pace e benedire i sopravvissuti'', ha dichiarato il presidente taiwanese Ma Ying-jeou. Dopo le visite storiche del 1997 e del 2001, fortemente condannate da Pechino, il Dalai aveva espresso già lo scorso dicembre la volontà di incontrare il presidente. Dopo il rifiuto, ora il sì. Decisione inaspettata, visto che dall'ascesa al governo nel 2008 Ma ha sempre avuto la priorità di allentare le tensioni con la Cina. Ora però, accusato dall'opposizione di piegarsi a Pechino, ha detto sì ''per questioni puramente umanitarie e religiose e senza alcuna rilevanza politica''. Basterà? La condanna delle autorità cinesi è arrivata puntuale con ''l'opposizione risoluta, non importa in quale veste o in quale forma il Dalai Lama vada a Taiwan''. È però improbabile che il governo adotti severe ritorsioni. Pur irritato dalle dimostrazioni di solidarietà nei confronti del Dalai, è anche consapevole che ogni chiusura può ulteriormente danneggiare a Taiwan la popolarità del presidente amico già diminuita dopo le accuse di un colpevole ritardo nell'organizzazione dei soccorsi alle popolazioni colpite dal tifone. Nei quindici mesi di governo dopo otto anni di potere dei separatisti del Democratic progressive party (DPP), Ma, esponente del Partito nazionalista Guomindang, ha perseguito una politica conciliatoria che ha decisamente migliorato i rapporti fra la Cina e la sua ''provincia ribelle''. Grazie a Ma, Taiwan ha inaugurato una stagione di fruttuosi scambi economici con la Cina. Ultimi, i maxi accordi da 3,87 miliardi di dollari firmati pochi giorni fa da una delegazione commerciale in visita a Taiwan, una delle tre che in pochi mesi hanno siglato accordi per un totale di 5,47 miliardi di dollari. Le previsioni parlano di altri 3,14 miliardi entro la fine dell'anno. E mentre il segretario del Guomindang Wu Poh-hsiung esprime ringraziamenti calorosi al presidente cinese Hu Jintao per le ''indimenticabili parole di conforto rivolte alle vittime del tifone'', Wang Jianzhou, presidente di China mobile communications corporation (CMCC) cerca partner taiwanesi nel settore dei sistemi d'emergenza. Sempre nel campo delle comunicazioni, il ministro cinese delle Ferrovie Liu Zhijun ha annunciato il progetto di una linea di collegamento tra Pechino e Taiwan che attraverserebbe le città di Kunming e di Hefei. Nel frattempo aumentano i collegamenti aerei diretti (l'ultimo meno di un mese fa) dallo storico primo volo del 4 luglio 2008 che dopo dieci anni di accuse, silenzi e tentativi di avvicinamento ha dato il via a regolari collegamenti tra Taiwan e la Cina continentale. Era stata proprio quella la prima manifestazione da parte del neo presidente Ma della volontà di riallacciare un legame spezzato dal 1949, quando i nazionalisti guidati dal generale Chiang-Kai-shek si rifugiarono sull'isola sconfitti dai comunisti di Mao Zedong. La Cina, che da allora considera Taiwan parte del proprio territorio, ha bombardato nel 1958 le isole in mano ai nazionalisti, provocando quasi una guerra con gli Stati Uniti. Poi, nel 1971, ha spodestato Taiwan dal tavolo delle Nazioni Unite (i Paesi che riconoscono Taiwan sono oggi ventitré). Solo nel 1987 Cina e Taiwan si sono scambiate un primo cauto sguardo, concedendo incontri alle famiglie divise dalla striscia di mare - 160 chilometri - che le separa. Il trend positivo ha visto altre due tappe. Nel 1991, quando Taiwan ha rinunciato alla minaccia della forza armata per riconquistare la terraferma e nel 1993, quando i leader dei due Paesi si sono stretti la mano nello storico incontro di Singapore. Nel 1995, una nuova ricaduta: Taiwan rigetta l'offerta del presidente cinese Jiang Zemin di affrontare il dialogo per porre fine alle ostilità, mentre nel giugno nello stesso anno il presidente taiwanese Lee Teng-hui manda Pechino su tutte le furie con un'importante visita negli Stati Uniti. Da allora, si apre una nuova fase altalenante. Nel marzo del 1996, la Cina testa missili nelle acque dei porti strategici dell'isola a poche settimane delle sue prime elezioni democratiche, che riconfermano a pieni voti Lee Teng-hui alla guida del Paese. Bisogna aspettare il 1998 perché l'inviato di Taiwan, Koo chen-fu, incontri il presidente cinese Jiang aprendo il primo vero dialogo dopo quasi cinquant'anni. Dura poco: nel 1999, quando Lee parla di rapporti bilaterali da ''Stato a Stato'', Pechino congela il dialogo. La ricucitura avviene nel gennaio 2001, quando Taiwan apre ai primi scambi commerciali diretti con la Cina, allentando anche per la prima volta le restrizioni sul turismo. Nel 2003, il primo volo commerciale partito da Taiwan atterra a Shanghai, ma via Hong Kong. Ultimo scambio di favori: nel marzo del 2005, la Cina approva una legge che la autorizza a intervenire con qualsiasi mezzo se Taiwan dichiarerà l'indipendenza. Nel 2007, Taiwan risponde con uno schiaffo alle Olimpiadi di Pechino, rifiutando il passaggio della staffetta olimpica sul suo territorio. Poi, a pochi giorni dall'inizio, minaccia di boicottare i Giochi se la Cina userà la trascrizione del nome della delegazione taiwanese per ribadire il possesso dell'isola (Zhonghua Taipei o Zhongguo Taipei, dove la seconda dicitura indica chiaramente l'appartenenza alla Cina). Alla fine Pechino la dà vinta a Taiwan e tutto finisce in applausi reciproci. Nessuna novità dunque. Alla luce di un lungo percorso storico fatto di distanze e graduali avvicinamenti, la visita del Dalai – per ora – non fa temere.
Marzia De Giuli