superpotenze in borsa
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DUE IPO, DUE CAPITALISMI Usa e Cina
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Un agosto caldo per le borse mondiali. Mentre in Cina si registrava la più grande offerta iniziale (Ipo) della storia, in America General Motors annunciava la sua intenzione di tornare alla quotazione pubblica, dopo poco più di un anno dalla richiesta di fallimento e dall'intervento pubblico che ha portato il governo federale (insieme a quello canadese) a detenere oltre il 70% delle azioni. Due privatizzazioni, due vite parallele, ma di significato molto diverso fra loro.
È ovvio che il successo di Agricultural Bank of China (AgBank) conferma che il centro di gravità finanziario si sta spostando, perché lì si registrano la domanda e l'offerta di capitali più intensa. Non a caso è la Cina che ha lanciato le tre principali Ipo dall'inizio dell'anno e ha raccolto quasi la metà delle nuove emissioni sul mercato azionario. Un'altra Ipo cinese di questi giorni, quella di Everbright Bank, ha segnato un clamoroso balzo del 17% nel primo giorno di quotazione. Peraltro, proprio guardando più da vicino questi successi, scopriamo quanto sia difficile per gli investitori occidentali addentrarsi nel mondo ancora misterioso della finanza cinese. Il record di AgBank è arrivato solo dopo il supplemento di emissione, favorito dagli acquisti effettuati nell'ultimo mese da investitori istituzionali controllati dal governo. Everbright Bank, che ha tanto premiato i sottoscrittori, ha come missione di aiutare e sostenere le prospettive economiche delle aree più povere del paese.

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Se ci fosse ancora, il presidente Mao chiederebbe: si tratta della lunga marcia verso i subprime? Sempre in questi giorni, il regolatore bancario cinese ha imposto alle banche di riportare in bilancio entro la fine del 2011 i prestiti di carattere fiduciario finora erogati tramite fondi comuni controllati: una pratica che non giovava né alla trasparenza dei conti bancari né alla tutela dei risparmiatori cinesi. Dal canto suo, la Banca centrale ha richiesto alle banche di effettuare stress test particolarmente severi, prevedendo cadute anche drammatiche (del 60%) dei prezzi delle case. Un segno del rischio che si sta accumulando nello spettacolare boom immobiliare cinese degli ultimi anni.
Il mercato azionario cinese è sicuramente quello dell'avvenire, ma non bisogna commettere l'errore di considerare tutte le imprese in esso quotate come altrettante galline dalle uova d'oro. Le bolle - dai tulipani olandesi del Seicento a internet di ieri - nascono quando gli investitori si lasciano prendere dall'euforia e dimenticano che la strada che porta alle grandi trasformazioni dell'economia mondiale è lastricata di storie di successi straordinari, ma anche di cocenti delusioni. Non tutti i bulbi di tulipano erano in grado di produrre fiori dal valore comparabile a un'opera d'arte, non tutte le imprese internet erano guidate da Steve Jobs o Sergey Brin, non tutte le banche cinesi garantiranno rendimenti nettamente superiori a quello medio del settore mondiale.
Diverso è il caso di General Motors, perché qui si tratta di un ritorno alla quotazione, anche se di un ritorno ricco di significati. È infatti importante che in poco più di un anno la società sia tornata alla redditività (l'unico mercato in cui continua a perdere è quello europeo e anche questo è un dato da meditare) e abbia mantenuto la sua quota di vendite sul mercato interno. La procedura è appena agli inizi e il cambio al vertice annunciato in questi giorni non giova alla rapidità dei tempi.
In ogni caso, l'approvazione del prospetto informativo non sarà una passeggiata, perché si tratta di assicurare la massima trasparenza agli investitori sul rischio implicito in un'azienda appena ristrutturata e in un settore che non ha certo superato molti problemi strutturali. La Sec, che ha molti peccati di omissione del recente passato da farsi perdonare, non darà il via libera tanto facilmente. La decisione del prezzo d'emissione sarà poi un altro passaggio molto delicato, che inevitabilmente comporta un rischio politico per il venditore principale, cioè per l'amministrazione Obama. Se troppo alto o troppo basso, si rischiano critiche di segno opposto che potrebbero avere un effetto ulteriore sulle già negative previsioni in merito alle elezioni d'autunno.
Rimane un fatto simbolico importante: il ritorno alla quotazione dell'azienda americana che più di ogni altro ha impersonato prima lo sviluppo industriale del dopoguerra e poi la gravità della crisi economica di oggi. Ma al di là di questo importante segnale, si tratta di capire se questo passaggio segna anche una nuova fiducia delle imprese americane nel mercato azionario come fonte di raccolta di capitali. Perché questa è la grande differenza fra la storia cinese e quella americana.
Negli Stati Uniti, dal dopoguerra in poi, il mercato azionario non ha prodotto risorse finanziarie nette per le imprese. Il flusso di capitali raccolti è risultato inferiore a quello delle azioni distrutte per effetto di riacquisti di azioni proprie effettuati per aumentare la redditività del capitale o per effetto di acquisizioni. Il numero delle Ipo, anche prima della crisi finanziaria, segnava una preoccupante tendenza alla diminuzione. Non è cresciuto il debito delle imprese, solo perché è cresciuto enormemente quello delle famiglie (e ora del settore pubblico). Se questa tendenza non verrà rovesciata, il primato del mercato azionario americano - pur con tutti i suoi elementi di vitalità - verrà prima o poi messo in discussione.
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20/08/2010
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