Roma, 15 set. – La più antica "scuola di cinese" in Occidente fu fondata a Napoli nel 1732 - in quella che è ora l'Università Federico II -, mentre le prime grammatiche e manuali per l'apprendimento del cinese vennero redatte in portoghese nel Seicento, la lingua parlata allora nelle colonie grazie al sistema del "padroado", quindi in latino, spagnolo, francese, inglese e anche in italiano. Questi sono solo alcuni degli aspetti emersi nel corso della Conferenza internazionale su "La storia della ricerca europea sulla lingua cinese" ospitata dalla Facoltà di Studi Orientali e patrocinata dalla Associazione Internazionale di Studi della Storia della didattica della lingua cinese. L'Associazione promuove da anni un intenso lavoro di ricerca e scambio sulla storia della didattica e questa terza conferenza annuale è stata dedicata quasi esclusivamente al contributo che gli europei seppero dare tra il XVI e il XIX secolo in questo settore. I lavori sono stati aperti dal Preside della Facoltà Federico Masini, il quale si è detto onorato di ospitare eminenti studiosi provenienti dall'Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea e Taiwan) e dall'Europa (Italia, Russia, Germania).
Passando dalla prima grammatica cinese del trentino Martino Martini fino alle opere apparse all'inizio del secolo scorso, gli studiosi che si sono succeduti in questi due giorni hanno gettato nuova luce sull'enorme contributo dei missionari e eruditi europei che per primi si avventurarono nella giungla delle "lingue cinesi".La quasi totalità degli interventi si è concentrata sull'analisi di grammatiche cinesi redatte dagli europei a partire dal 1600. A fare la parte del leone furono essenzialmente i missionari - domenicani, francescani e soprattutto gesuiti - interessati a conoscere la lingua del Celeste Impero per arrivare più direttamente ai futuri proseliti. D'altro canto gli occidentali che risiedevano nella Cina di allora o nelle colonie circostanti, erano per lo più mercanti, marinai e funzionari che non avevano la preparazione culturale o semplicemente l'interesse per affrontare la tortuosa strada per l'apprendimento del cinese. I missionari del Seicento, invece, non soltanto erano scienziati formati a tutte le arti liberali, ma anche avventurieri dotati di una volontà e di un fisico di ferro che permise loro di compiere il lunghissimo viaggio per mare che, passando per il Capo di Buona Speranza, conduceva nelle Indie Orientali.
di Miriam Castorina
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