Sul clima entra in gioco Pechino
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Sul clima entra in gioco Pechino

Sul clima entra in gioco Pechino

Vertici globali - ALL'ONU IL DOSSIER AMBIENTE
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Marco Valsania
NEW YORK
Cento capi di stato uniti da una promessa, quella di combattere l'effetto serra sotto gli auspici delle Nazioni Unite. E due di loro - i leader delle emissioni nocive, Stati Uniti e Cina - sono stati capaci di dar voce a nuovi, inediti impegni per fermare il cambiamento climatico. Ma hanno dovuto anche ammettere le difficoltà di rispettarli, di trovare accordi internazionali e adottare obiettivi concreti che scongiurino i futuri disastri ambientali.
L'americano Barack Obama e il cinese Hu Jintao hanno dominato ieri la grande conferenza sul clima organizzata ai margini dell'Assemblea annuale dell'Onu dal segretario generale Ban Ki-moon. Hanno promesso di far propria la battaglia contro il surriscaldamento globale. Abbastanza da far sperare in nuovi slanci negoziali in vista del summit di Copenhagen di dicembre, dove le Nazioni Unite cercheranno di tenere a battesimo una nuova e ben più efficace intesa che prenda il posto del Protocollo di Kyoto. I due leader hanno però anche sottolineato gli ostacoli ancora da superare: nel caso di Obama, la difficile fase economica che complica qualunque impeto riformatore. E, in quello di Hu, l'importanza per i paesi in via di sviluppo di non sacrificare la crescita.
Il leader cinese ha fatto annunciato, con grande enfasi, riduzioni nelle emissioni di anidride carbonica da parte del suo paese (superano di poco quelle statunitensi con un quinto del totale mondiale). «Ci sforzeremo di tagliare le emissioni di diossido di carbonio per unità di prodotto interno lordo di un margine notevole entro il 2020 rispetto ai livelli del 2005», ha detto. E ha proseguito affermando che la Cina aumenterà gli sforzi di riforestazione e farà crescente ricorso a energia rinnovabile e centrali nucleari (fino a soddisfare il 15% del fabbisogno tra undici anni).
L'offerta principale, il taglio delle emissioni, è stata tuttavia accolta con cautela: una riduzione della cosiddetta intensità dell'anidride carbonica, oltre a rimanere generica nelle percentuali, potrebbe non tradursi in una diminuzione totale delle emissioni cinesi considerata la prevista marcia del Pil di Pechino. Nel suo messaggio Hu ha inoltre dichiarato che i paesi in via di sviluppo «devono evitare il vecchio cammino di inquinare prima e risanare poi». Ma ha subito dopo invitato a non pretendere troppo dai paesi emergenti con «obblighi che vanno al di là del loro stadio di sviluppo, delle loro responsabilità e dello loro capacità».
Obama, da parte sua, ha segnato un drastico cambiamento di rotta e di tono rispetto al suo predecessore, il repubblicano George W. Bush. Ha ammesso che gli Stati Uniti «sono stati lenti» nel riconoscere il dramma dell'effetto serra, un dramma causato dall'uomo e quindi «risolvibile dall'uomo». Ha promesso che Washington «si assumerà le sue responsabilità nei confronti delle future generazioni». E ammonito che un fallimento del negoziato sul clima rischia di provocare «irreversibili catastrofi».
«Stiamo cercando drastici cambiamenti durante una recessione globale, quando la priorità di ogni nazione - ha tuttavia chiarito Obama - è rilanciare l'economia e dare lavoro alla popolazione. Tutti dovremo affrontare dubbi e difficoltà nelle nostre capitali per raggiungere una soluzione duratura alla sfida climatica».
Il presidente americano si è sforzato di dare contenuto concreto al suo impegno. Ha in programma di decretare la fine di sussidi ai carburanti fossili, con grande sostegno all'energia pulita. E ha previsto di tornare entro il 2020 ai livelli di emissioni del 1990. In congresso però affiorano obiezioni a leggi aggressive sull'effetto serra, che stabiliscano chiari tetti sulle emissioni.
Altre incognite tengono in ostaggio il tavolo delle trattative internazionali. L'appuntamento di ieri non era dedicato a dettagli negoziali, piuttosto a ridare slancio politico all'azione sul clima. Questo lascia una fitta agenda per i prossimi incontri tra grandi potenze, a cominciare dal G-20 di Pittsburgh a fine settimana. In gioco ci sono aiuti finanziari e tecnici ai paesi più poveri. E non solo: mancano anche traguardi condivisi dalle nazioni industrializzate per il 2020.
Tra gli intervenuti alla conferenza dell'Onu che hanno incitato a progressi, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha chiesto un nuovo summit a metà novembre prima di Coopenhagen. Mentre il neopremier giapponese Yukio Hatoyama ha reso nota una sua iniziativa per ridurre le emissioni del 25% rispetto al 1990. Pressioni sono arrivate anche da forum paralleli con aziende e associazioni. Tra i partecipanti italiani, gli amministratori delegati Paolo Scaroni dell'Eni e Fulvio Conti dell'Enel.
Il segretario generale Ban Ki-moon, da parte sua, ha invitato tutti a fare in fretta: un mancato accordo «non ha giustificazioni morali». E, con un'immagine memorabile, ha detto che «lo scioglimento dei ghiacciai è più rapido dei progressi per proteggere sia loro che noi».
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23/09/2009
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