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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
La Cina invia ai mercati il primo messaggio del nuovo anno: la politica monetaria ultraespansiva varata da Pechino nell'autunno 2008 per contrastare la crisi economica non potrà durare all'infinito.
Ieri la People's Bank of China (Pboc) ha rialzato i rendimenti sui buoni del Tesoro trimestrali: il collocamento di titoli pubblici del valore di 60 miliardi di yuan (poco meno di 6 miliardi di euro) è stato emesso a un tasso dell'1,3684%, cioè 4,04 punti base sopra i rendimenti offerti la settimana scorsa. Questo ritocco (il primo dallo scorso agosto), ovviamente, ha spinto verso l'alto tutta la curva del costo del denaro: i tassi swap annuali sono schizzati al livello massimo degli ultimi sedici mesi (2,19%, pari a un rialzo di 14 punti base rispetto alla chiusura di mercoledì), mentre i rendimenti swap decennali sono saliti nella stessa misura portandosi al 4,39 per cento.
I mercati hanno accolto con stupore la mossa della banca centrale cinese. L'effetto sorpresa è stato tale che a pagarne il prezzo immediato è stata la Borsa di Shanghai, protagonista del peggior scivolone delle ultime due settimane (l'indice ha perso 1,9%). Anche le materie prime hanno reagito negativamente alla notizia: un'eventuale stretta monetaria della Pboc, infatti, potrebbe ridurre la domanda cinese di commodities.
Probabilmente, commentano alcuni osservatori, è stata una reazione scomposta ed esagerata. «I mercati hanno interpretato l'aumento dei rendimenti trimestrali dei titoli di stato come il segnale di un imminente rialzo dei tassi d'interesse. Ma i tempi per un aumento del costo del denaro non sono ancora maturi», osserva un banchiere occidentale di Shanghai. «Non è stata una stretta monetaria, ma un semplice un intervento tecnico - gli fa eco Robert Rennie, chief strategist di West Banking Corp - La banca centrale ha drenato 137 miliardi di yuan e ha aumentato i rendimenti trimestrali per riportare sotto controllo l'eccessiva crescita di liquidità».
Tuttavia, un fatto sembra certo: la posizione delle autorità monetarie sta cambiando. In Cina solitamente i grandi mutamenti di direzione, prima di essere annunciati ufficialmente, vengono gradualmente trasmessi all'opinione pubblica. Non è un caso, quindi, che nelle ultime settimane qualche economista abbia rispolverato una parola in grande auge nei giorni del boom economico che sembrava cancellata dalla crisi economica: surriscaldamento.
Oggi, dopo la massiccia iniezione di liquidità operata dalla Pboc nel 2009 (da gennaio a ottobre le banche cinesi hanno erogato prestiti per la cifra record di 875 miliardi di euro, oltre il 70% in più rispetto l'anno prima), c'è chi ritiene che nel sistema circoli troppo denaro. Il rischio è che questa enorme massa di moneta si trasformi in credito facile. Con tutto ciò che ne consegue: eccesso di investimenti, sovracapacità, bolle speculative, sofferenze bancarie, inflazione. Surriscaldamento, insomma. In questo caso, per abbassare la temperatura, Pechino dovrà per forza agire sul termostato dei tassi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
08/01/2010
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