Pechino, 26 ott.- Il governo di Pechino lancia una nuova campagna culturale, e la rivolge contro le trasmissioni tv "diseducative" e i social media troppo critici. A una settimana dalla fine del plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinsese, le nuove linee guida si fanno più concrete: limiti ai programmi di entertainment trasmessi in tv e censura ancora più severa sul web.
La SARFT (State Administration of Radio, Film and Television) è entrata in azione con un comunicato trasmesso nella sera di martedì: l'agenzia governativa che filtra tutte le trasmissioni della tv cinese ha annunciato che a partire dal 2012, nella fascia di prima serata dalle 19:30 alle 22, i 34 canali televisivi del Dragone potranno trasmettere in totale un massimo di nove programmi "di puro svago", mentre il resto del palinsesto dovrà essere dedicato a informazione, documentari e programmi educativi.
L'ordine è quello di limitare "il cattivo gusto" e "le trasmissioni di evasione": secondo il documento della SARFT riportato dall'agenzia di Stato Xinhua, la maggior parte dei programmi dovrà invece "promuovere l'armonia, la cultura" e adottare "un punto di vista sano", evitando di enfatizzare "gli aspetti più cupi e oscuri della società".
Si tratta di un vero e proprio giro di vite sui quiz, i talent show, i reality e i programmi per cuori solitari in cerca di un partner seguiti da milioni e milioni di spettatori in tutta la Cina. Nella tradizionale riunione riservata che il plenum del Comitato Centrale del PCC tiene ogni anno, i massimi dirigenti avevano annunziato una nuova "riforma culturale", preoccupati –dicono gli osservatori- dalla presa sempre più forte che internet e i social media esercitano sulla popolazione.
Ma in Cina "culturale" è un brutto aggettivo che evoca fantasmi coi quali la nazione non ha ancora fatto i conti, e all'indomani dell'annuncio sul web si levano già le voci più critiche: "La 'riforma della cultura' si sta trasformando in Rivoluzione Culturale" scrive il notista politico Wu Jiaxiang sul suo account Weibo, il "Twitter cinese", peraltro sottoposto abitualmente al filtro dei contenuti sgraditi.
E un altro celebre editorialista, l'esperto di questioni militari Zhao Chu, rievoca con toni ancora più espliciti quel passato che nessuno è ansioso di rivivere: "La riforma non va affatto presa alla leggera, non dimentichiamo che la Rivoluzione Culturale cominciò in sordina, con le critiche al 'Licenziamento di Hai Rui'" scrive Zhao, riferendosi a quel classico dell'Opera di Pechino sulle disgrazie di un funzionario della Dinastia Ming in cui i fanatici del regime videro un'allusione a Mao Zedong, scatenando sulla Cina la più tragica campagna politica della sua Storia. "Se non ci opponiamo adesso a questa cosiddetta rivoluzione culturale, a questa ricostruzione morale, essa potrebbe presto trasformarsi nel più violento e ignorante dei movimenti. La tirannia culturale e intellettuale è la base su cui si fonda la violenza dei despoti".
Forse lanciare l'allarme censura per quello che, in definitiva, è uno stop ai giochini a premi e ai reality show può apparire eccessivo agli occhi occidentali. Ma se quegli stessi reality vengono sostituiti da "programmi culturali" imposti da un governo che fa della propaganda uno dei suoi punti di forza, allora la cancellazione di trasmissioni come 'Super Girl'- sorta di 'Amici' in salsa di soia - assume una luce più sinistra.
La campagna si sta scatenando anche su un web già pesantemente censurato, dove il Comitato Centrale del Partito vuole "promuovere i tesori culturali nazionali" e i "siti costruttivi", punendo "la diffusione di informazioni dannose". Magari come quelle sulle perdite di petrolio nel golfo di Bohai, che i media ufficiali non avrebbero pubblicato senza le foto dei cittadini postate su internet.
L'idea che sia in corso una complessa partita culturale, il cui premio è la capacità di dirigere completamente l'opinione pubblica, si sta diffondendo da mesi nelle elite cinesi. Allarmi contro i pericoli di questa campagna sarebbero stati lanciati anche dai 'taizi', i discendenti dell'aristocrazia del Partito Comunista Cinese, che secondo voci non confermate si sono riuniti all'inizio del mese per celebrare il trentacinquesimo anniversario della fine della Rivoluzione Culturale.
E forse il nuovo scontro sulla cultura e l'informazione può dare origine a paradossi inediti. Come ad esempio una Maria De Filippi cinese che si trasforma in campionessa della libertà di parola.
di Antonio Talia
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