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Tornando alle collezioni, è stato fatto un grande lavoro di «ingegnerizzazione», come dice Rivetti sorridendo, come se la parola fosse fin troppo "pomposa": «Prima della vendita di C.P. Company l'ufficio stile interno esisteva, ma doveva coordinarsi con uno stilista esterno. Ora facciamo tutto internamente e questo ha creato nuovi cortocircuiti creativi con le persone che, in azienda, si occupano degli aspetti produttivi o di quelli legati alla distribuzione e al marketing. Abbiamo "reimparato" a costruire le collezioni intorno alla nostra tradizione di ricerca sui tessuti senza mai dimenticare i segnali che ci arrivano dal mercato e dai nostri clienti, con i quali siamo sempre più in contatto anche grazie a internet».
Il sito di Stone Island funziona sia come negozio virtuale (anch'esso in crescita a due cifre) sia come canale diretto di comunicazione con gli amanti e clienti del marchio: «Per i mondiali del Sudafrica avevamo anche creato un blog dedicato al calcio, che ha avuto moltissimi contatti e continueremo a investire sul sito e sui social network. Senza trascurare la rete di negozi "reali" e il canale wholesale, da sempre punto di forza di Stone Island».
Dopo la vendita di C.P. Company, i negozi di Milano e Roma sono stati riorganizzati intorno alle collezioni Stone Island e le vendite per metro quadro sono aumentate. Rivetti non nasconde il desiderio di aprire altri monomarca, iniziando magari da Parigi o da qualche grande città della Germania (il secondo mercato dopo l'Italia). «Ma non ho fretta. Per molti anni mi sono sentito un velocista, ora mi sento più in sintonia con il passo dei maratoneti, che sanno dosare meglio le loro energie e non hanno paura né della fatica né delle lunghe distanze».
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29/10/2010
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