Pechino, 23 giu.- Caochangdi, il quartiere degli artisti nella zona nordest di Pechino: la villa che sette anni fa Ai Weiwei disegnò per sé e per alcuni amici, la casa-laboratorio dalla quale il dissidente progettava le sue incursioni mediatiche contro il governo cinese, stamattina era talmente silenziosa da sembrare disabitata.
L'artista è tornato a casa ieri sera attorno alle 23:30 dopo 81 giorni di detenzione, incriminato per evasione fiscale. Un breve filmato di alcune stazioni televisive di Hong Kong lo mostra dimagrito, mentre saluta prima di chiudersi alle spalle il pesante cancello verde della villa. "Sono di nuovo con la mia famiglia. Sono felice e sto bene, ma vi prego di non chiedermi commenti sulla mia detenzione, almeno non ora" ha dichiarato Ai Weiwei.
Nella mattinata di oggi le porte della casa sono rimaste sbarrate: né Ai, né la moglie Lu Qing, né qualcuno dei colleghi e amici che frequentano abitualmente l'indirizzo "258 Fake" sono usciti a parlare con i giornalisti appostati fuori. "Fake" come falso, "Fake" come la "Beijing Fake Cultural Development Ltd.", la factory artistica che ha prodotto le opere che hanno reso Ai Weiwei l'artista cinese più conosciuto nel mondo e dove due anni fa venne appesa la lunghissima lista dei bambini morti nel crollo delle scuole del Sichuan, colpito da un disastroso terremoto nel maggio del 2008. La lista delle vittime era il culmine di un lavoro a metà tra arte e investigazione che suonò come un potente atto d'accusa contro le autorità governative, colpevoli secondo Ai e gli altri ideatori di avere chiuso gli occhi sui materiali di scarto con i quali furono costruiti gli edifici scolastici distrutti. Nella vicenda delle scuole del Sichuan Ai fu picchiato dalla polizia mentre tentava di testimoniare a favore di Tan Zuoren - un altro artista coinvolto nell'operazione - e fu sottoposto a intervento chirurgico per evitare l'emorragia cerebrale.
Un atto d'accusa difficile da dimenticare, insieme a tutte le altre provocazioni lanciate da Ai Weiwei contro il regime: il giorno dell'arresto, il 3 aprile scorso, il quartier generale della Fake fu perquisito da una cinquantina di poliziotti, che sequestrarono tutti i computer del centro e trattennero alcuni dei collaboratori dell'artista per qualche ora, alla ricerca delle prove di evasione fiscale. Ad altri associati della factory non è andata così bene. Il partner dello studio Liu Zhenggang, l'autista Zhang Jinsong, il contabile Hu Mingfen e l'amico Wen Tao sono ancora tutti sotto custodia. Una requisitoria talmente dura da far dimenticare i tempi in cui Ai Weiwei collaborava con il governo cinese alla realizzazione del Nido d'Uccello, il meraviglioso stadio delle Olimpiadi di Pechino 2008. All'epoca, peraltro, Ai venne criticato per la posizione ambigua assunta verso i Giochi Olimpici, polemico con chi lavorava col comitato organizzatore - come il regista Zhang Yimou -, ma pronto a fornire il suo sostegno al progetto. "Me ne sono quasi dimenticato - dichiarò successivamente l'artista - e l'ho fatto perché amo il design".
Adesso, secondo quanto reso noto questo pomeriggio in una conferenza stampa dal portavoce del ministero degli Esteri Hong Lei, Ai Weiwei è sottoposto al regime di libertà su cauzione: non potrà lasciare Pechino "perché non gli va lasciata possibilità di distruggere le prove della sua colpevolezza" e secondo le leggi cinesi è tuttora sottoposto a inchiesta per i prossimi 12 mesi, nel corso dei quali potrebbe essere ancora chiamato a giudizio.
"La Cina è un Paese governato dalla legge. Ci auguriamo che le altre nazioni rispettino la sovranità del governo" ha aggiunto Hong Lei con chiaro riferimento alle critiche mosse dalla comunità internazionale per la detenzione dell'archistar. In molti considerano l'accusa di frode fiscale solo un pretesto per mettere a tacere una delle più note voci critiche del governo cinese sulla scia dell'ondata di repressione che negli ultimi mesi ha visto finire dietro le sbarre attivisti per i diritti umani, intellettuali, artisti e dissidenti.
"Concordo con l'ipotesi di alcuni osservatori – ha dichiarato ad AgiChina 24 Zhang Jian, docente di Scienza Politica presso l'Istituto Affari Governativi dell'Università di Pechino - secondo cui le manovre del governo cinese siano attuate in vista degli appuntamenti diplomatici nelle prossime settimane: la visita del premier Wen in Germania e in Gran Bretagna e quella del vice presidente degli Stati Uniti Joe Biden a Pechino. Sono sole ipotesi, ma ritengo che questo sia il classico, vecchio, giochetto che Pechino porta avanti da anni: un chiaro segno di buona volontà prima degli appuntamenti internazionali. Non mi sembra, però, che si possa parlare di un nuovo atteggiamento della Cina nei confronti dell'Occidente. La posizione di Pechino non cambia".
Della stessa idea anche Jonas Parello-Plesner, senior policy fellow presso Ecfr a Londra, secondo cui è sbagliato attendersi un cambiamento significativo nell'atteggiamento della Cina nei confronti dei paesi occidentali. "La detenzione di Ai Weiwei rientra nella politica di repressione del dissenso che Pechino ha messo in atto a partire da febbraio – ha dichiarato ad AgiChina24 Jonas Parello - è probabile che le autorità cinesi all'inizio dell'arresto non avessero calibrato le reazioni che la detenzione di un artista così noto avrebbe scatenato nel mondo. Il giro di vite messo in atto da Pechino su dissidenti e attivisti sulla scia delle proteste dei gelsomini, nel mese di febbraio, non aveva suscitato un clamore eccessivo a livello internazionale, in un momento in cui l'attenzione di Europa e Stati Uniti era focalizzata sulle rivolte in nord africa. Ai Weiwei, in tal senso, ha rotto quell'equilibrio, spostando i riflettori nuovamente sulla Cina. Pechino sembra aver preso atto che per evitare un danno d'immagine, la scarcerazione di Ai non era più procrastinabile; il fatto che il governo abbia messo fine all'arresto dell'artista - su cauzione - in vista del tour europeo di Wen Jiabao, sembrerebbe confermare questa ipotesi".
Non in pochi si interrogano sul futuro dell'archistar. Potrebbe essere indotto ad abbandonare il Paese? "Credo che il governo cinese sia intenzionato a fare di tutto per far calare il sipario sul caso Ai Weiwei, almeno internamente – spiega ancora ad AgiChina24 Jonas Parrello - Occorre capire come Pechino intenda raggiungere quest'obiettivo. Per il momento, tutto tace: Ai Weiwei è stato scarcerato, ma non può rilasciare dichiarazioni ai media e non può allontanarsi da Pechino. Il governo cinese ha messo il bavaglio all'artista; se la situazione rimane stabile, le autorità possono ritenersi soddisfatte. Ma non sarebbe la prima volta che Pechino allontana un dissidente spingendolo a lasciare il paese. Ai Weiwei, nel tempo, potrebbe tornare a rappresentare un elemento di fastidio, riprendendo in mano le sue indagini 'scomode' contro le autorità governative. Ma non va dimenticato che Ai Weiwei, se avesse voluto, avrebbe potuto lasciare la Cina molto tempo fa, essendo un artista di fama internazionale. Ma ha deciso di restare nel suo paese nonostante le accuse e i pestaggi che ha dovuto subite in più di un'occasione. Difficile prevedere se questa volta, messo a dura prova da una ben più lunga e dolorosa detenzione, l'artista possa essere spinto a compiere un passo che evidentemente in passato, pur avendone la possibilità, non ha mai intrapreso".
La casa di Caochangdi non è strettamente sorvegliata come ci si potrebbe aspettare: alcuni poliziotti in borghese sorvegliano i giornalisti presenti, a cadenze regolari passa per strada un furgoncino della polizia. E non è neanche disabitata come sembrava in apparenza: due ragazze, probabilmente collaboratrici di Ai Weiwei, entrano da un accesso laterale. Un ragazzo si mostra dal tetto, sul lato, ma ai tentativi dei giornalisti di richiamare l'attenzione volta loro le spalle, sembra a malincuore.
Dal 258 Fake di Caochangdi, oggi, non si può trasmettere nulla.
di Antonio Talia e Alessandra Spalletta
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