SENATO USA CONTRO LO YUAN
ADV
ADV
SENATO USA CONTRO LO YUAN

SENATO USA CONTRO LO YUAN

Economia
di lettura
ADV
ADV
Pechino, 28 set.- Lo yuan torna sul banco degli imputati: il senatore repubblicano Harry Reid ha annunciato ieri che la discussione sulla valuta cinese si svolgerà al Senato la prossima settimana. Secca la risposta giunta oggi dal portavoce del ministero degli Esteri cinese Hong Lei: "La Cina auspica che gli Usa non trasformino il tasso di cambio dello yuan in una questione politica". "Ritengo che sul fronte delle misure da adottare per l'occupazione al momento non ci sia nulla di più importante che affrontare la questione degli scambi commerciali con la Cina - aveva detto Reid lunedì scorso - e sono sicuro che riusciremo a fare approvare la norma".
A che cosa puntano Reid e il vasto schieramento bipartisan che ormai ritiene la moneta cinese il problema numero uno per l'economia statunitense?  La norma consentirebbe al dipartimento del Commercio di Washington di trattare le valute stimate al di sotto del loro valore effettivo alla pari con quanto prevedono le leggi statunitensi in materia di sussidi di Stato sulle merci. In altri termini, se la misura verrà adottata, le aziende USA potranno chiedere al governo di adottare imposte per bloccare l'import di beni cinesi. Anche se l'applicazione delle nuove tasse contro la concorrenza sleale andrebbe adottata caso per caso, ci sono i presupposti per un'aspra battaglia commerciale contro Pechino.
Attualmente, lo yuan-renminbi non è una moneta convertibile: la Banca Centrale fissa un tasso di riferimento e limita le perdite o i guadagni all'interno di una banda di oscillazione che si situa allo 0.5% rispetto a tale livello. La Cina, inoltre, limita anche la conversione ai fini di investimento ,e ha ammassato le sue immense riserve in valuta estera - stimate in 3200 miliardi di dollari - anche attraverso la vendita continua di yuan, disposta per evitarne un eccessivo apprezzamento. Le polemiche che circondano lo yuan si sono intensificate dopo lo scoppio della crisi finanziaria globale: Washington, in particolare, accusa sistematicamente Pechino di mantenere artificialmente basso il valore della sua moneta per aggiudicarsi un vantaggio sleale negli scambi con l'estero.
Nel giugno dello scorso anno la Cina ha sospeso l'ancoraggio di fatto al dollaro che era stato inaugurato proprio poco dopo lo scoppio della crisi, e da allora lo yuan si è costantemente apprezzato sul dollaro, anche se ben al di sotto della percentuale sperata dagli americani. Secondo Pechino, infatti, la ragione dell'immenso squilibrio nella bilancia commerciale tra USA e Cina, che pende tutto a favore di quest'ultima, va rintracciato nel blocco esercitato sulla vendita di tecnologia americana, e non nel tasso di cambio dello yuan. Secondo Washington, invece, il sistema per fissare i tassi di cambio adottato dalla Cina le consente di scambiare la sua moneta a un valore tra il 25% e il 40% a quello reale, uno stratagemma che consente al Dragone di inondare i mercati con i suoi prodotti.
Anche se la norma, una volta approvata dal Senato, deve comunque ottenere il semaforo verde della Casa Bianca, il Congressional Budget Office ritiene che con l'applicazione di una legge simile si raccoglierebbero 125 milioni di dollari in nuove imposte nell'arco di dieci anni, dato che solo "una minima parte delle merci provenienti dalla Cina e da altri paesi a basso costo del lavoro si qualificherebbe per l'esenzione fiscale".
Dall'inizio dell'anno lo yuan-renminbi si è apprezzato del 3%, ed è cresciuto di valore del 6.7% da quando è stato svincolato dal dollaro nel giugno 2010. Il segretario del Tesoro USA Timothy Geithner ha più volte commentato che, grazie all'elevatissima inflazione che sta scuotendo la Cina, in termini reali la moneta del Dragone si è apprezzata notevolmente di più. Lunedì scorso, inoltre, la Banca centrale di Pechino ha fissato il tasso di cambio ai massimi storici, una mossa che serve a continuare la battaglia contro i rincari del costo della vita che il governo cinese ha fissato come priorità per il 2011. Ma difficilmente tutte queste considerazioni e manovre possono mutare l'atteggiamento dei senatori americani, che devono rendere conto all'elettorato di una situazione occupazionale sempre più incerta.
di Antonio Talia
© Riproduzione riservata
ADV