Se va bene a Pechino, va bene a tutti
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Se va bene a Pechino, va bene a tutti

Se va bene a Pechino, va bene a tutti

UNA MONETA MONDIALE
di lettura
di Pietro Alessandrini
di Michele Fratianni

La Cina vuole una moneta sovranazionale che si sostituisca al dollaro come valuta di riferimento. La proposta è contenuta in un breve appunto dal titolo "Riformare il sistema monetario internazionale", scritta dal governatore della People's Bank of China, la Banca nazionale cinese, Zhou Xiaochuan. La mossa cinese appare nello stesso tempo sorprendente e scontata. La sorpresa va accolta con soddisfazione da chi ritiene che la gravità della crisi renda necessaria l'istituzione di una moneta sovranazionale e che la sua realizzazione non possa prescindere da un accordo cooperativo che includa la Cina. E vanno in questo senso i primi segnali di cauta disponibilità mostrati ieri dal segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner. In un nostro recente saggio ("Resurrecting Keynes to stabilize the international monetary system", Open Economies Review) abbiamo proposto un accordo trilaterale tra Fed, Bce e Banca centrale cinese per realizzare una moneta-paniere sovranazionale, non sostitutiva ma complementare alle monete nazionali: l'iniziativa di istituire presso l'Fmi una stanza di compensazione multilaterale dei rapporti di credito-debito tra Banche centrali dovrebbe partire da Fed e Bce, con l'obiettivo prioritario di incentivare la Cina, l'attuale maggiore Paese creditore, a entrare nel sistema compensativo multilaterale. Sorprende che sia stata proprio la Banca centrale cinese a rompere gli indugi a favore della sovranazionalità monetaria.
Ma a pensarci bene questa mossa è scontata nella sua razionalità. Innanzitutto denota la volontà della Cina, oggi sottorappresentata negli organismi internazionali, di assumere un peso pari al suo crescente potere economico. A tale maggior peso deve però corrispondere anche un'assunzione di responsabilità per la stabilità dell'economia mondiale.
Letta con le lenti del potere monetario, in quanto principale creditore del resto del mondo, Pechino potrebbe arrivare a imporre la propria valuta come moneta internazionale. Ma lo yuan non ha ancora le caratteristiche di moneta dominante, che tra i suoi requisiti richiede un sistema finanziario interno sviluppato e integrato nell'economia mondiale. Può semmai essere considerato un immaturo principe ereditario alla corte del re dollaro, salito al trono a Bretton Woods nel 1944.
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Fosse dipeso da John Maynard Keynes, avremmo avuto già da allora una moneta sovranazionale. Ma l'idea geniale di Keynes venne sopraffatta dalla forza economica e politica degli Stati Uniti a favore di un sistema imperniato sul dollaro. In cambio dei privilegi della sovranità monetaria, gli Usa si impegnarono a fornire il "bene pubblico" di stabilizzare il valore del dollaro, rafforzato dalla garanzia della convertibilità in oro. L'impegno non fu mantenuto perché obiettivi nazionali prevalsero su quelli internazionali.
Bretton Woods è sparito ma il sistema rimane in gran parte ancorato al dollaro. L'attuale crisi mondiale sta evidenziando debolezze e contraddizioni del dollar standard. Gli Usa fortemente indebitati sono i meno indicati a rilanciare la domanda; eppure il nazionalismo delle politiche economiche, viziato da un sistema monetario imperniato sul dollaro, non permette un'azione coordinata. Gli Usa non si preoccupano delle ripercussioni mondiali di rilanciare la domanda interna con forti iniezioni fiscali e monetarie. La Fed, in meno di sei mesi, ha raddoppiato la base monetaria. La nuova politica di acquistare ingenti quantitativi di mortgage-backed securities e titoli dello Stato federale a lunga scadenza implica, grosso modo, un secondo raddoppio della base monetaria a fine 2009. Per evitare un'impennata dell'inflazione, la Fed dovrà vendere in un prossimo futuro più di duemila miliardi di dollari di titoli. Lo può fare da un punto di vista tecnico, ma è legittimo chiedersi se lo potrà fare politicamente. L'indipendenza della Fed è a rischio e, conseguentemente, è a rischio il dollar standard. Ne segue che la crisi attuale va interpretata anche come una crisi di monete. Il dollaro è un re ancora potente, ma in declino e senza eredi pronti a sostituirlo. Non abbiamo una moneta leader alternativa: non può essere l'euro dell'Europa senza unità politica, né lo yen giapponese né, tanto meno, lo yuan cinese.
Per questi motivi la richiesta di Pechino di un accordo monetario sovranazionale è una disponibilità che va colta da Fed e Bce ed è una assunzione di corresponsabilità che va sollecitata dai governi europei e americani. Il governatore cinese propone di rivitalizzare il sistema degli Dsp (Diritti speciali di prelievo). Ma alla prova dei fatti questo si è rivelato uno strumento macchinoso di creazione esogena e di distribuzione predeterminata di moneta sovranazionale. Per questo riteniamo più sensato un sistema di compensazione multilaterale che riprenda gli stessi principi di moneta endogena e flessibile del piano Keynes; un progetto che, con gli opportuni adattamenti, è ancora attuale. Nella nostra proposta Fed e Bce, le due principali Banche centrali ad alta reputazione anti-inflazionistica, cedono alla stanza di compensazione valori equivalenti di propri titoli di Stato a breve in cambio di depositi in nuova valuta sovranazionale, che offre il vantaggio di una moneta-paniere. Il rischio di cambio viene così ridotto dall'effetto compensativo degli attivi denominati in dollari ed euro acquisiti dalla stanza di compensazione.
La nuova moneta sovranazionale offre uno strumento meno rischioso per le riserve delle Banche centrali. Per questo la Banca centrale cinese potrebbe usufruirne a scopo di diversificazione e potrebbe essere incentivata a entrare nel sistema compensativo multilaterale. Una volta garantita la partecipazione dei tre leader mondiali, il meccanismo potrebbe gradualmente estendersi ad altri Paesi. L'Fmi assumerebbe un nuovo strumento di sorveglianza multilaterale dei rapporti di credito e di debito tra Banche centrali, senza avere la sovranità monetaria di Banca centrale mondiale. Gli Usa dovrebbero impegnarsi a contenere il deficit esterno ma anche la Cina dovrebbe assumersi la responsabilità trainare il rilancio della domanda mondiale in questo periodo di recessione, accettando di contenere il proprio surplus esterno.
Pietro Alessandrini
p.alessandrini@univpm.it
Michele Fratianni
m.fratianni@univpm.it

26/03/2009
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