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Tale omissione, secondo la Suprema corte – cui ricorreva il trasportatore, dopo il rigetto del Tribunale del riesame – pur costituendo inosservanza delle prescrizioni burocratiche (amministrative e documentali) richieste dal Regolamento comunitario del 2006 va ricondotta al reato di traffico illecito di rifiuti e legittima il sequestro preventivo dei container (oltre che, in caso di condanna o patteggiamento, la confisca obbligatoria del mezzo di trasporto).
I giudici di legittimità sottolineano che, dall'esame dei documenti allegati alla spedizione, risultavano pacifiche le difformità riscontrate in ordine: a) alla persona che organizzava la spedizione; b) al "generatore" dei rifiuti (cioè il produttore iniziale, il nuovo produttore o il raccoglitore); c) alle dichiarazioni dello spedizioniere. Il risultato era una situazione di totale incertezza sull'identità degli operatori. Ed era irrilevante il fatto che queste irregolarità non fossero dirette a ottenere un profitto, poiché le norme sanzionano anche la mera irregolarità documentale.
La decisione deve essere condivisa, sul piano formale, in quanto il Regolamento citato, al fine di organizzare la sorveglianza e il controllo della spedizione dei rifiuti, per una migliore qualità dell'ambiente e della salute umana (si veda il 7° "considerando"), impone degli obblighi burocratici: più stringenti (notifica e autorizzazione) o meno forti (semplice informazione) a seconda della natura del rifiuto e della sua destinazione (smaltimento o recupero).
La vicenda decisa rientra nella seconda ipotesi (carta da macero inserita nella "lista verde" spedita in Cina per il recupero) ed è regolata dall'articolo 18 (cui rinvia l'articolo 37, comma 3) il quale richiede il documento di cui all'allegato VII (che accompagna la spedizione) e il contratto fra l'organizzatore della spedizione e il destinatario. In tali documenti devono, dunque, comparire i protagonisti della spedizione, che di volta in volta possono essere: l'esportatore, l'importatore, l'intermediario (che opera per conto altrui) o il commerciante o broker (che agisce come committente e acquista e vende i rifiuti). E questo proprio per prevenire qualsiasi traffico illecito.
Per il profilo sostanziale, e di merito, potrebbe nutrirsi più di un dubbio sul rispetto dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità di una norma che tratta allo stesso modo irregolarità formali e illiceità sostanziali. Senza tener conto della finalità speculativa e, soprattutto, del pericolo o del danno ai beni ambientali e alla salute. Ma questo rilievo riguarda la normativa interna e non la decisione della Corte, che non ha sindacato sulle scelte del legislatore, salvo a rilevarne l'eventuale incostituzionalità per irragionevolezza o disparità di trattamento.
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Dalla sentenza
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- Corte di Cassazione, sez. III, sent. 6227 del 13 febbraio 2009
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Si configura il reato di traffico illecito di rifiuti, ex articolo 259, comma 1, Dlgs 152/2006 quando le carenze nella documentazione allegata ad una spedizione di rifiuti, in Paesi in cui non si applica la decisione Ocse (nel caso, la Cina), sono tali da determinare una totale incertezza sulla individuazione degli autori delle diverse fasi delle operazioni di esportazione (...). Tale omissione si pone in violazione della disciplina dell'articolo 37 del Regolamento CE 1013/2006 e 801/2007 (che sostituisce le disposizioni dell'articolo 26, Regolamento CE 259/93, indicato nel testo della norma incriminatrice). La presenza di un profitto, ulteriore e diretto, riconducibile all'attività illecita non costituisce un requisito necessario per la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
20/04/2009
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