Se fare denaro è un'arte
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Se fare denaro è un'arte

Se fare denaro è un'arte

capitalisti & collezionisti
di lettura
In questo momento di grave crisi finanziaria e incertezza economica, mi sono trovato a parlare ad alcuni tra i principali esponenti della finanza europea, in occasione di una conferenza organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi: Finance and the Arts: Where is the Florence of the 21st Century? Eravamo proprio a Palazzo Strozzi, descritto da James Bradburne, direttore del museo che vi è attualmente ospitato, come «la Trump Tower del '400». Fuori dalle ampie finestre del quinto piano, il sole stava tramontando su un panorama più che mai pittoresco: i campanili di Firenze che digradano verso l'Arno entro la cornice delle rosate colline toscane.
Ero lì per parlare della mostra di cui sono stato, insieme a Ludovica Sebregondi, co-curatore: «Denaro e Bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità». Ma è difficile non cogliere l'occasione di dire qualcosa di pertinente quando, per la prima e unica volta, ci si trova di fronte a personalità del calibro del governatore della Banca d'Inghilterra, del presidente della Lloyd's Bank e di figure di analoga importanza presso la Banca Centrale Europea, la Federal Reserve e la Banca nazionale svizzera, per non parlare della settantina di gestori di hedge fund, imprenditori, policy maker, accademici, curatori, mercanti d'arte, artisti e collezionisti.
Se vogliamo capire, ho esordito, per quale motivo le famiglie di banchieri nella Firenze del '400 finanziarono una così straordinaria fioritura di belle arti, dobbiamo tener conto degli ostacoli all'attività bancaria, primo fra tutti il bando dei prestiti a interesse imposto dalla Chiesa, quello che i teologi chiamavano usura e ritenevano contrario alla legge naturale di Dio. Perché? Perché arricchirsi con i prestiti a interesse implicava la rinuncia a un lavoro duro e onesto e il rifiuto della posizione economica e sociale acquisita alla nascita; i grandi usurai, e con ogni probabilità anche quanti chiedevano un prestito, stavano tentando una scalata alla piramide sociale. Un gesto socialmente disgregante, che avrebbe scatenato il caos.
Oggi tutto questo può sembrare ingenuo. Non crediamo che esista una rigida gerarchia sociale imposta da Dio, né che la sua salvaguardia non vada a esclusivo appannaggio di pochi privilegiati. Ma c'è dell'altro. Il prestatore, agli occhi della Chiesa, era inevitabilmente una persona ossessiva e combattuta. «Così fa l'usuraio», si lamenta Bernardino da Siena «sempre a udire la prima messa, con baciare e piedi a' santi e ardere loro el naso. E viene per tempo alla chiesa, perché la notte non può dormire per la cupidità disiderata e sognata».
La Chiesa aveva capito che quando le operazioni finanziarie si fanno complesse («denaro che si accoppia con denaro») la mente ne è assorbita, si eccita, non dorme. Se la gente può cambiare la propria condizione trafficando col denaro, non penserà ad altro. Poi correrà in chiesa per evitare che qualcuno si renda conto dello stato in cui versa la sua mente.
Nella Firenze del '400 raramente gli artisti ritraevano usurai. Sembra che non volessero affrontare il discorso. Ma i pittori fiamminghi del '500 seppero interpretare bene la posizione della Chiesa. Ho aperto Power Point per mostrare ai miei banchieri Gli usurai di Quentin Metsys, in cui la bruttezza spirituale è impressa sui volti degli avari come una testa su una moneta. Ancor più provocatorio è Il cambiavalute e sua moglie di Marinus van Reymerswaele. Qui l'uomo e la donna sono di bell'aspetto, gente comune, come noi, ma tutta la loro attenzione è catturata dalle monete d'oro che stanno contando: si rapportano attraverso il denaro, non il tatto o la parola. E le loro mani sono tese, adunche come artigli: «Ricordatevi bene, o usurai», aveva predicato Sant'Antonio da Padova un paio di secoli prima, « che siete divenuti preda del demonio. Si è impossessato delle vostre mani, rendendole restìe alla beneficienza».
Era il timore di una simile ossessione e dello stigma sociale che poteva derivarne, che spinse i banchieri rinascimentali a prodigarsi in gesti caritatevoli e penitenziali. Per evitare i prestiti diretti avevano trasformato l'arte delle operazioni di cambio a fini commerciali in un proficuo strumento creditizio, eppure temevano di essersi comunque macchiati con il peccato del l'usura. Perciò restaurarono chiese, commissionarono dipinti votivi, e così facendo scoprirono la bellezza e dimostrarono di non essere semplici uomini d'affari definiti e inquadrati dai loro libri contabili. Molto rapidamente, poi, capirono che la bellezza può anche essere sfruttata a scopi propagandistici.
Il mattino dopo il mio discorso ha avuto inizio la conferenza vera e propria: settanta persone sedute in cerchi concentrici e provviste di pulsantiere elettroniche con cui esprimere il proprio parere su domande quali: «L'occidente rimarrà la forza dominante nei mercati mondiali dell'arte?». Il 44% ha risposto sì, il 37% no.
I partecipanti avevano avuti la garanzia di non essere citati senza il loro consenso, erano liberi di dire ciò che volevano. Pertanto, mettiamo che sia emersa quasi subito l'idea per cui, se sono necessari centri di eccellenza per formare grandi accademici, servono anche scuole illustri che sappiano sfornare artisti di spessore. Per questo, se ci si scosta dai sentieri battuti, è difficile trovare grandi opere d'arte. Si è citato Damian Hirst come il prodotto esemplare di una scuola di questo tipo. Che il mondo dell'arte sia dominato dai grandi capitali non deve però avvilirci, perché significa che, a differenza dei Van Gogh del passato, artisti contemporanei come Hirst o Jeff Koons possono avere la giusta ricompensa e assurgere alla fama che meritano, divenendo fonte d'ispirazione per gli artisti di tutto il mondo.
A ciò è seguito un dibattito dai toni molto accesi. Qualcuno ha citato con nostalgia quei giovani artisti dei paesi emergenti che si dilettavano a esplorare le loro tradizioni nell'ottica della loro cultura finché non si sono resi conto delle ingenti somme di denaro che ruotavano attorno all'arte occidentale; a quel punto in molti hanno cambiato stile, cercando il successo internazionale in seno a una tradizione a loro estranea.
Qualcuno ha fatto notare come, sapendo che un Koons ha fruttato un milione di dollari, il pubblico non riesca più a vederlo senza pensare a questi soldi che in qualche modo offuscano l'opera. Forse per Hirst la celebrità è stata frutto dell'eccellente marketing dell'agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi piuttosto che di una scuola di eccellenza.
I difensori di Hirst non volevano saperne. Possibile che un artista dovesse cadere in miseria prima che si potesse goderne l'opera? Nel lungo termine, ha insistito qualcuno, il compenso in denaro è sempre stato la giusta misura della qualità di un artista.
E così, ho riflettuto io, mentre il banchiere del '400 si volgeva all'arte perché rappresentava un valore che sfuggiva ai termini monetari, ora si ammira l'artista per aver creato un'opera che i collezionisti possono acquistare come un sicuro investimento finanziario. Il denaro torna padrone. In un mondo di comunicazioni istantanee su scala globale, questa realtà ha cancellato la nozione secondo cui culture diverse generano produzioni artistiche diverse e non raffrontabili. No, se oggi l'arte asiatica non costa quanto quella occidentale è perché vale meno. Ovvio!
Sono volate parole dure. C'era chi sembrava più interessato a vincere la disputa che a favorire la comprensione. Quasi quasi rimpiangevo quei teologi medievali che avrebbero saputo riportare un po' di ordine al dibattito.
Alla fine è stato un insigne gallerista a mettere i più scalmanati in riga: al momento, ci ha informati, il mercato più fiorente è la Cina, e tratta soprattutto opere cinesi. Ma guardando all'arte in generale, l'esperienza gli aveva insegnato che gli artisti creano e i collezionisti comprano per i motivi più disparati, che spesso non hanno nulla a che vedere con il denaro. Se il nostro obiettivo era trovare la culla di un potenziale Rinascimento del 21° secolo e capire in che modo sarebbe stato finanziato, avremmo dovuto dare fondo a tutta la nostra fantasia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

24/12/2011
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