Roma 26 mar. - Che l'economia cinese abbia raggiunto risultati sorprendenti e che abbia meritatamente occupato il posto d'onore al tavolo delle potenze economiche è ormai un fatto scontato. Ciò che suscita le perplessità del mondo economico sono invece le proiezioni a lungo termine: riuscirà la Cina in futuro ad assicurare una crescita basata su ritmi così elevati? Quali saranno le tendenze dell'economia cinese nel dopo-crisi? Quali le strategie da adottare per promuovere lo sviluppo economico? Quali i rapporti commerciali e finanziari tra il Dragone e il mondo? Alcune risposte a questi quesiti sono state fornite dall'economista cinese Yang Shengming.
In netto contrasto con le rosee previsioni di Wen Jiabao, del Dipartimento per gli Affari economici delle Nazioni Unite e della Goldman Sachs, alcuni economisti sostengono che nel dopo-crisi la Cina entrerà in un periodo di crescita medio-bassa che si attesterà intorno al 5%. Il rallentamento sarebbe dovuto al fatto che in Cina vi sono problemi che si sono accumulati durante il periodo di crescita accelerata che hanno un bisogno urgente di trovare una soluzione; pertanto occorre rallentare la crescita e destinare parte delle risorse ai settori trascurati. Contrario a questa posizione è invece Yang Shengming che prevede un tasso di crescita intorno all'8-9% garantito da quattro fattori principali. In primo luogo lo sviluppo trainato dall'immenso mercato per la domanda interna: l'aumento del benessere e dei consumi stimola la domanda e il Paese non può non fornire un adeguato livello di offerta. Emblematico a questo proposito è il caso dell'automobile: oggi in Cina vi sono 400 milioni di famiglie, se si considera una vettura a famiglia e una produzione ai ritmi del 2009, occorreranno altri 30 anni per soddisfare l'intera domanda. A questo primo fattore si aggiungono poi il fenomeno dell'urbanizzazione che nei prossimi venti anni raggiungerà un tasso del 70% (si parla di uno spostamento di 300 milioni di contadini) ; una popolazione povera ancora troppo numerosa (150 milioni); e una politica di apertura condotta non solo verso i Paesi industrializzati ma anche verso i mercati emergenti.
Ma per poter garantire una crescita costante e adeguata Yang Shengming suggerisce idealmente ai leader del governo di accelerare il progresso delle scienze e della tecnologia in modo da poter trasformare un modello a bassa intensità in un modello ad alta intensità di capitale. Ad ogni progresso scientifico-tecnologico segue sempre una nascita di nuove attività produttive. Attualmente in Cina è già in corso una rivoluzione che coinvolge i settori delle energie rinnovabili, delle tecnologie ambientali e della biotecnologia ma gli interventi del governo devono essere più mirati. Un'altra strategia efficace è sicuramente quella di focalizzare l'attenzione sulla domanda interna al fine di stimolare lo sviluppo tramite i consumi. E per rendere possibile tutto ciò è necessario incrementare il reddito della fascia medio-bassa in modo da ampliare la domanda, e creare un sistema di social security. Infine Yang invita il governo cinese a monitorare la situazione finanziaria e prevenire una possibile inflazione.
Più discordanti sono le previsioni su quelli che saranno i rapporti commerciali e finanziari tra la Cina e il resto del mondo all'indomani della crisi. Se il commercio estero include merci e servizi, nel caso della Cina questa distinzione è più che mai necessaria: mentre negli ultimi trenta anni il commercio di merci ha avuto un notevole sviluppo registrando un aumento rispetto al 1978 di ben 124 volte, il commercio di servizi - telecomunicazioni, servizi per l'ambiente, sanitari, turistici e finanziari solo per citarne alcuni – non solo non ha seguito lo stesso percorso del settore merci ma dal 1995 registra un disavanzo. E la situazione non sembra cambiare a breve: secondo Yang infatti nonostante il contraccolpo subito nel 2009 dovuto alla crisi finanziaria, il commercio di merci subirà nel 2010 un incremento del 10% mentre il settore dei servizi non supererà il +6%. Squilibrata sembra essere anche la situazione relativa agli investimenti "coming in" e "going out". Se la quantità di capitali esteri introdotti in Cina - provenienti in particolare da Hong Kong, dal Giappone, da Singapore e dalla Corea del Sud - presenta una marcata tendenza all'incremento, più esigui sono invece gli investimenti cinesi verso l'estero che viaggiano principalmente su tre canali: acquisizione di titoli pubblici o di imprese americane; investimenti in imprese estere tramite fusioni o acquisto di azioni e investimenti diretti esteri. "La Cina sta quindi andando verso il mondo ma la strada da percorrere è ancora molto lunga" ha commentato Yang.
Punto cardine delle relazioni finanziarie tra il Dragone e le potenze estere è sicuramente l'Internazionalizzazione del Renminbi che, sostiene Yang, necessita di un processo lento e graduale. In particolare, il percorso dovrà essere diviso in due tappe: in primo luogo la fase di regionalizzazione, durante la quale diventerà una delle principali monete sovrane dei mercati asiatici; e successivamente la fase di globalizzazione – prevista intorno al 2050 – durante la quale si raggiungerà una situazione di equilibrio tripartito tra Dollaro, Yuan ed Euro. Ma per promuovere il processo di internazionalizzazione Yang propone l'introduzione di diverse misure: accrescere la forza economica del Paese; continuare sulla strada delle riforme del sistema finanziario e ampliare l'apertura verso l'estero; promuovere gradualmente il calcolo e i pagamenti in RMB del commercio internazionale; promuovere le attività di swap; incrementare l'emissione sul mercato di obbligazioni e azioni in RMB; accelerare il ritmo degli investimenti all'estero; e infine, fare del RMB una valuta per le riserve internazionali.
di Sonia Montrella