ROMANO "LA CINA NON AMA PYONGYANG, MA LA VUOLE STABILE"

AgiChina 24 ha intervistato Sergio Romano sulle ripercussioni della morte di Kim Jong-il sulla stabilità della penisola coreana.
Roma, 19 dic. - La notizia della morte di Kim Yong-il ha squassato gran parte del globo. La Cina si è detta "afflitta" e "sotto shock". Il mondo è preoccupato per le ripercussioni sulla stabilità della penisola coreana.
La morte di un leader in un regime totalitario coincide sempre con un momento di possibile fragilità del sistema e il timore di possibili contraccolpi. Stati Uniti e Cina, in particolare, devono essere pronti ad affrontare possibili emergenze. C'è però da dire che la malattia del leader supremo era nota da tempo, e sapevamo che Pyongyang si stata preparando alla successione. La successione politica spaventa Pechino e il resto del mondo. La Cina è preoccupata che la morte improvvisa del dittatore abbia lasciato poco tempo al successore per prendere in mano le redini del controllo. Cosa terrorizza la leadership cinese? Il regime nord-coreano è sempre stato avvolto nell'incertezza, e trovo sorprendente che ci si sorprenda del fatto che sia un regime opaco. Nessuno è stato mai in grado di capire cosa accade dietro le quinte del potere. Che la Cina sia preoccupata è preoccupante, perché Pechino più di noi dovrebbe essere informata su ciò che sta accadendo all'interno del paese. A meno che la Cina non sia a conoscenza di elementi e abbia deciso di tenerli per sé. Le manovre di preparazione alla successione sono state visibili; Kim Yong-il stava evidentemente male, lo si vedeva dalle fotografie e dai video. Se vi siano in corso trattative segrete all'interno del Partito, non credo che nessuno sia in grado di saperlo. E torno a dire, mi preoccupa che la Cina sia preoccupata, perché dovrebbe essere il paese a saperne di più.
E non sarebbe la prima volta che la Cina in qualche modo 'delude' le nostre aspettive. L'anno scorso con lo scoppio della crisi nella penisola coreana, causata dal cannoneggiamento nord-coreano che aveva causato la morte di quattro persone, Pechino era stata accusata dalla comunità internazionale - probabilmente ingiustamente - di non aver saputo prevedere l'attacco né tantomeno dissuadere Pyonyang dal ricorrere all'uso delle armi. Tornano i timori sull'efficacia dei colloqui a sei sul disarmo nucleare: posto che Pechino non ha alcun interesse ad assistere a un repentino crollo del regime nordcoreano, l'indebolimento di Pyongyang potrebbe spianare la strada a Seul verso una riconquista della penisola coreana?
La mia osservazione è semplice: mi è sempre parso comprensibile che la Corea del Nord avesse un rapporto privilegiato con la Cina, ma non un rapporto tale da consentire alla Cina di governare la situazione; del resto la Corea del Nord è uno stato satellite della Cina, e Pechino non sempre è in grado di pilotare la situazione. La Cina ha un evidente interesse alla conservazione del regime nord-coreano, e non perché lo ami; ma perché esso incarna il danno minore. Il giorno in cui la Corea del nord e la Cina dovessero entrare in crisi, ne scaturirebbe con molta probabilità un conflitto. E questo conflitto inevitabilmente coinvolgerebbe, insieme alla Corea del sud, il suo principale alleato: gli Stati Uniti. E tra le ipotesi da prendere in considerazione – ipotesi che non so fino a che punto considerare realistiche - c'è la possibilità di un conflitto che si concluda con la riunificazione del paese. Se l'ipotetico conflitto dovesse concludersi con la riunificazione della penisola coreana e i vincitori fossero Seul e Washington, me deriverebbe che un paese 'satellite' degli Usa confini con la Cina. Beh, la Cina potendo scegliere, magari preferisce uno stato cuscinetto.
Secondo lei quali sono i margini di manovra che potrà avere la Cina in questo scenario?
Non lo so proprio. Siamo di fronte a un'equazione con tante di quelle incognite, che francamente mi risulta difficile azzardare qualsiasi previsione. Ripeto,non ho l'impressione che la Cina sia in grado di governare, all'interno del sistema nord coreano, la soluzione del problema della successione; un problema che si pone sempre nei regimi totalitari, dove alla morte del leader segue un momento di crisi. Se vi sarà accordo sulla successione del terzogenito Kim Jong-Un, dobbiamo aspettarci una continuità politica e immaginare che a quel punto la situazione riparta da una base che conosciamo perfettamente, ed è quella che cerchiamo di spiegare: alla Cina interessa garantire l'esistenza di uno uno stato cuscinetto fra la RPC e l'alleata degli Stati Uniti.
Quanto agli Stati Uniti, cosa renderà inquieti i sonni di Barack Obama?
Il tragitto che precede la successione al potere, che probabilmente neanche Obama è in grado di prevedere. Avremmo tutti l'interesse, anche se può sembrare paradossale dirlo, che si vada verso una soluzione tranquilla: la successione programmata dal 'Caro Leader' prima di morire. Una soluzione che per lo meno è in grado di garantire una certa stabilità. E' proprio l'instabilità che dovremmo temere, perché l'instabilità rende difficile governare la situazione. Poniamo l'ipotesi che all'interno del regime nord coreano si confrontino fazioni contrastanti. Non è escluso, per esempio, che una fazione, per meglio conquistare il potere e collocare il proprio uomo al posto del 'Caro Leader', esasperi forme di nazionalismo anti- sud coreano. E a quel punto la situazione potrebbe davvero rischiare di degenerare.
Indiscrezioni indicano da tempo lo zio di Kim Jong-Un – il generale Chang Suang-Taek - alla guida dell'opposizione alla sua successione. Dietro le quinte, hanno ammesso in via riservata fonti governative statunite, soprattutto perché 'il grande successore' nessuno puo' affermare di conoscerlo davvero…
Appunto, non conosciamo l'influenza esercitata da queste presunte fazioni, non possiamo neanche affermarne con certezza l'esistenza. Possiamo solo azzardare ipotesi. Quello che sappiamo è che il giorno in cui dovesse esserci un forte scontro di potere al vertice del regime nord coreano, questo potrebbe avere ripercussioni negative sulla stabilità della regione.
di Alessandra Spalletta
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