Pechino, 28 apr. - Un'imposta sulla previdenza sociale che assume tutte le caratteristiche di una tassa per il mantenimento della stabilità sociale, una delle principali preoccupazioni del governo di Pechino. Da quando all'inizio di aprile il ministro delle Finanze Xie Xuren ha annunciato l'intenzione di riformare il sistema fiscale sul reddito entro la fine del 2010, in Cina si è aperto un dibattito che di volta in volta ha anche raggiunto toni accesi: in un sondaggio lanciato da Radio Cina Nazionale, ad esempio, oltre il 70% degl'intervistati ha espresso un parere negativo sulle nuove imposte. In che cosa consistono le proposte di Xiu? In un articolo pubblicato su uno dei periodici ufficiali del Partito Comunista Cinese, il ministro delle Finanze ha scritto che la riforma servirà a raccogliere nuovi fondi da utilizzare nella lotta al crescente divario tra le fasce più ricche e quelle più povere della popolazione. Attualmente, il sistema di welfare cinese include le pensioni, un'assicurazione medica di base e i sussidi alla disoccupazione, ed è costituito dai contributi dello Stato, delle aziende e dei singoli lavoratori sotto forma di una "quota" di previdenza sociale. La situazione è resa ancora più complicata dal fatto che i fondi della previdenza cinese vengono gestiti dagli organi provinciali: oltre agli enormi squilibri tra le varie province, entra in gioco anche la questione dell'"hukou", il certificato di residenza che vincola un cittadino alla provincia d'origine per l'ottenimento dell'assicurazione medica o dell'istruzione gratuita per i figli; una politica che, a causa dell'imponente migrazione dalle aree rurali a quelle urbane, ha generato negli anni un'enorme sacca di cittadini di serie B. L'introduzione di una vera e propria tassa, insomma, aumenterebbe i fondi disponibili e servirebbe a ripianare le disparità sociali sempre più evidenti: secondo l'Ufficio Nazionale di Statistica, infatti, in Cina campagne e città non sono mai state così lontane. I dati ufficiali mostrano come nel 2009 il reddito medio di un residente urbano si sia attestato a quota 17.175 yuan (circa 1800 euro) contro i 5153 yuan percepiti da un abitante delle zone rurali, un rapporto di 3.33 ad 1 che segna la più ampia disparità mai registrata dal 1978, l'anno in cui vennero varate le prime riforme economiche. Gli ostacoli alle riforme che Xie vuole lanciare arrivano tanto dalle resistenze dei cittadini di fascia media che da quelle delle province più ricche: se i primi, come si è visto, temono un aumento della pressione fiscale, le seconde, sotto un'imposta uniforme in tutta la nazione, si troverebbero a pagare più tasse e a vedere una parte dei loro fondi dirottata verso le zone più povere. Liu Huan, uno dei maggiori esperti di sistema tributario della nazione, ha sottolineato che la riforma non risulterà in un aumento della pressione sui contribuenti: "Si tratterebbe semplicemente di sostituire l'attuale quota con una tassa uniforme per tutto il paese - ha scritto Liu in un articolo - e inoltre si abbatterebbero i costi, perché uno dei punti della riforma prevede la sostituzione delle attuali agenzie di sicurezza sociale, che hanno base locale, con gli uffici centrali del fisco, che sono in grado di svolgere il lavoro più efficacemente e senza costi aggiuntivi". Secondo il vicedirettore dell'Istituto di Ricerche di Scienze Tributarie del ministero delle Finanze, Wang Zhaocai, la questione delle disparità tra le imposte versate dalle varie province potrebbe essere risolta attraverso una quota fissa da destinare al luogo di produzione del reddito. La riforma che dovrebbe vedere la luce entro la fine del 2010, insomma, è una partita ancora aperta, e si gioca tutta sul baratro sempre più vasto che separa la Cina delle campagne da quella delle città.
di Antonio Talia