Quel « muro» innalzato da 31 Paesi
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Quel « muro» innalzato da 31 Paesi

Quel « muro» innalzato da 31 Paesi

Le barriere. Settore delle piastrelle in lotta con balzelli e adempimenti usati per ostacolare il prodotto made in Italy
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Cina, ma non solo. Dall'India, al Brasile, al più piccolo Ecuador l'industria della piastrella – italiana, ma non solo – sta facendo sempre di più i conti con barriere all'export erette da molti Paesi.
Nel complesso, la Federazione europea delle imprese ceramiche Cerame-Unie censiva nel 2010 specifiche barriere alle esportazioni di piastrelle di ceramica – fra tariffarie e non – in ben 31 Paesi. «Il problema è serio e molto sentito dalle aziende del settore, anche perché in un contesto come quello attuale qualsiasi tipo di ostacolo posto in maniera sleale va a innestarsi in un quadro di mercato che non permette di sostenere certe situazioni a cuor leggero», afferma Giorgio Romani, presidente della Commissione relazioni commerciali di Confindustria Ceramica e amministratore delegato di Serenissima Cir Industrie Ceramiche. Insomma, c'è da combattere una lotta contro un mostro bicefalo in cui alle barriere all'import da parte di alcuni Paesi, si accompagna anche il volto minaccioso della concorrenza sleale sui prezzi.
Su quest'ultimo fronte, comunque, una prima vittoria è stata raggiunta con la decisione dell'Unione europea che ha dato il via libera a dazi, per cinque anni, da applicare alle importazioni di piastrelle di ceramica dalla Cina, che a livello europeo stanno crescendo a un tasso del 20% annuo. In nome della concorrenza sleale è stato dato via libera a un'azione antidumping il cui risultato è una nuova tassazione sui prodotti in arrivo dal Paese della Grande Muraglia, che può arrivare fino al 69,7 per cento. «C'è da dire – afferma Romani – che proprio la Cina è uno dei Paesi che tuttora presenta fra le più significative barriere all'importazione. Qui da molti anni vige la certificazione obbligatoria CCC sul grès porcellanato, che obbliga, fra l'altro, le aziende esportatrici interessate a sottoporsi a visite ispettive da parte di tecnici cinesi, con tutti i costi del viaggio a carico dei richiedenti».
Un altro Paese dove storicamente sono presenti ostacoli non tariffari è l'Arabia Saudita dove, ormai da molti anni, viene richiesta un'apposita certificazione di conformità, al pari dell'etichettatura delle scatole che deve essere apposta anche in lingua araba. Ma la compagnia non manca: in tutta l'area mediorientale e nordafricana si registra una particolare incidenza di ostacoli di varia natura al commercio internazionale.
Dall'altra parte, sul fonte delle barriere tariffarie esistono altri Paesi produttori che adottano ostacoli rilevanti per impedire il più possibile l'ingresso dei prodotti dell'industria ceramica europea, di cui l'Italia è una punta di diamante. Fra questi c'è il Brasile – secondo Paese al mondo per quantità prodotte – che, oltre a dazi comunque elevati (dal 12 al 14%), adotta altri balzelli, non sempre uniformi su tutto il territorio federale, che moltiplicano i costi a carico degli importatori. Il caso più eclatante in quest'ambito è comunque quello del l'Iran, altro importante Paese produttore, che prevede dazi all'importazione pari al 100%, con specifici valori minimi per metro quadro.
«È chiaro che contro tutte queste situazioni – sostiene Romani – è necessaria un'azione sempre più forte e incisiva, che noi come associazioni dobbiamo portare avanti per contrastare le numerose e variegate barriere tecniche all'importazione, tariffarie e non tariffarie, che permangono in molte aree del mondo». Il tutto, «cercando di farci valere nelle opportune sedi istituzionali, ma anche puntando a far capire, a livello dei Governi, che la nostra competizione non deve essere vista come lesiva delle realtà locali, ma come potenziale occasione di miglioramento per le imprese di quei Paesi che invece frappongono barriere a una corretta e leale concorrenza».
E in questo quadro, conclude Romani, sarà importante anche monitorare situazioni potenzialmente pericolose. «Un caso – dice – può essere quello della Turchia. Con le misure prese nei confronti dell'import cinese, i flussi riguardanti la Turchia sono già molto aumentati. C'è un costo del lavoro inferiore a quello medio dei Paesi dell'Ue e la moneta agganciata al dollaro può dare vantaggi competitivi rispetto all'euro. Sono situazioni come queste – precisa il presidente della Commissione relazioni commerciali di Confindustria Ceramica – che vanno tenute sotto controllo, con attenzione».
Sulla necessità di tenersi al passo e affinare le conoscenze sull'argomento è d'accordo Marco Fortis, della Fondazione Edison. «Bisogna investire – afferma – per aumentare al massimo la conoscenza dei mercati emergenti e dei loro meccanismi di funzionamento. Ci vogliono anni di studi ed esperienza per arrivare a chiedere e ottenere procedure antidumping come quella adottata nei confronti della Cina. E quindi, per le associazioni di settore soprattutto, diventa essenziale investire su questo fronte per cercare di tutelarsi il più possibile in un mercato calante come quello attuale».
© RIPRODUZIONE RISERVATA

20/09/2011
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