Quattro assi per domare il dragone nuova Cina
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Quattro assi per domare il dragone nuova Cina

Quattro assi per domare il dragone nuova Cina

GIGANTE ECONOMICO
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C'è bisogno di dirlo? Siamo in Cina, il paese dove molte vicende all'apparenza sembrano qualcosa e in realtà sono altro. Si guardi, ad esempio, alla sessione plenaria del parlamento cinese in corso. All'apparenza è un rito stanco, paludato, ripetitivo che certo non riesce a strapparci alla noia o alle immagini di fuoco e fiamme delle cronache di altre parti del mondo. In realtà, dietro le quinte si sono aperti gli stati generali per la transizione politica più difficile e delicata, e forse anche più importante, del pianeta.
Nel 2012 andrà al potere la nuova dirigenza che guiderà la Cina fino al 2022 ma stavolta, diversamente dal 2002 o dal 1992, la successione non sarà condizionata da un uomo sopra gli altri, Deng Xiaoping. Stavolta sarà un compromesso o una serie di compromessi tra gruppi di quasi pari potere e influenza. L'ultima volta che la Cina visse qualcosa del genere fu nel 1976 alla morte di Mao. Allora finì con un colpo di stato e l'arresto della famigerata Banda dei Quattro, guidata dalla vedova di Mao, Jiang Qing.
Oggi le cose sono molto diverse, ma forse sono più incerte di allora. Tutto il mondo è alla fine coinvolto nella vicenda, perché visto il peso economico e politico della Cina la scelta dei suoi uomini avrà un impatto globale. Non ci sono dubbi sui due uomini chiave della vicenda, Xi Jinping e Li Keqiang, oggi rispettivamente vicepresidente e vicepremier vicario; nel 2012 dovrebbero diventare numero uno e due del partito, con le cariche probabili di presidente e premier. Certo anche un terzo membro del gruppo dirigente supremo, che si concentrerà nel politburo ristretto: ci sarà Li Yuanchao, capo del potente dipartimento organizzazione del partito.
Oltre costoro tutto è incerto, a cominciare da quante persone dovrà contare il Politburo e soprattutto come saranno scelti i componenti che comporranno il Politburo allargato e il Comitato centrale, cuore e polmoni della politica cinese.
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Oggi il politburo è composto di nove persone, il numero più grande storicamente di questo gruppo che in precedenza contava cinque o sette membri (sempre dispari per garantire una maggioranza in caso di voto).
Ma nove, si obietta, è un numero troppo grande per prendere decisioni veloci. Si era arrivati in realtà a questo numero nel 2002, quando il partito effettuò la sua prima transizione pacifica del potere dal vecchio presidente Jiang Zemin al suo successore, attuale presidente Hu Jintao.
Jiang in realtà ancora per due anni mantenne il posto di presidente della commissione militare centrale, massima leva del potere, e pur uscito dal politburo lo aveva riempito di uomini suoi e lo aveva allargato a nove membri (da sette) forse anche per garantirne un'inefficienza che avrebbe sottolineato il suo ruolo di arbitro.
In realtà le agende nazionali e internazionali sono tantissime e complicatissime, quindi nove persone risultarono un numero equo che venne mantenuto anche nel 2007 (il congresso del partito si riunisce ogni cinque anni). Oggi, con il moltiplicarsi della confusione e complicazione, c'è chi dice che è impossibile ritornare a sette membri, un numero più agile e veloce per decidere, ma bisognerebbe allargare il gruppo a 11, o comunque mantenere i nove.
Inoltre: chi decide? Nel 2002, anche se Deng era morto cinque anni prima ed era effettivamente uscito dalla politica all'inizio del 1995, quando ebbe un ictus che lo lasciò in stato vegetativo, lui e il suo gruppetto di anziani veterani della Lunga Marcia avevano deciso che il successore sarebbe stato Hu Jintao, portato nel politburo ristretto nel 1992. Tranne che per Hu, allora Jiang decise tutto il resto del gruppo dirigente.
Oggi Jiang, classe 1926, non ha certo il potere e lo status di Deng, e se pure lui e i suoi compagni di cordata hanno contribuito alla scelta di Xi Jinping e Li Keqiang nel 2007, lì si dovrebbero fermare, il resto delle nomine spetterebbe a Hu.
O no? Hu ha o non ha il peso di Jiang nel 2002? e soprattutto in questi dieci anni il paese è molto cambiato, si è molto frammentato, sono emersi forti gruppi d'interesse che hanno volontà proprie, per esempio i militari, le aziende petrolifere, quelle esportatrici, i gruppi finanziari, eccetera. Con questi il presidente deve trattare, non può semplicemente dettare ordini, perché altrimenti poi lavorano contro o semplicemente non collaborano.
Poi c'è il futuro ruolo stesso di Hu che non è chiarissimo. Compirà 70 anni nel dicembre 2012, e dovrebbe andare in pensione nell'ottobre di quell'anno, a 69 anni quindi. Ma il suo predecessore nel 2002, Jiang, aveva 76 anni ed ebbe un'estensione di altri due anni, quasi come accade agli arcivescovi.
Ci sono tutti gli elementi perché Hu possa volere un'estensione del suo mandato a capo della commissione militare. Rifiutargliela o meno sarà un'indicazione fondamentale della struttura e della volontà del potere cinese.
Infine ci sono le questioni di personalità. Il futuro presidente Xi Jinping è uomo volitivo, pugnace, ex capo delle guardie rosse. Cioè dopo due generazioni di tecnocrati, quella di Jiang e di Hu, tornano al potere dei rivoluzionari, che certamente non sono passati attraverso la Lunga Marcia, come Mao e Deng, ma hanno sofferto e sopportato come loro battaglie e tormenti durissimi durante la Rivoluzione culturale.
Xi e anche Li Keqiang erano capi guardie rosse e poi sono stati mandati in campagna e hanno lottato con le unghie e coi denti fino a emergere capi delle loro brigate di produzione, cosa difficilissima in mezzo a un contesto di contadini ostili all'arrivo di giovani intellettuali di città.
Si accontenteranno quindi di rimanere sotto l'ombra dei più vecchi? E le loro giovani furie rivoluzionarie sono state placate o continuano a ribollire, lasciando la possibilità di riaccendere forti polemiche politiche che potrebbero spaccare il futuro gruppo dirigente con conseguenze imprevedibili?
Un po' di questo si è intravisto nel comportamento di Bo Xilai, segretario del partito dell'immensa metropoli di Chongqing. Appena arrivato in città, ha iniziato una feroce campagna contro la criminalità organizzata, cosa che ha gettato fango sul suo predecessore, e poi ha dato la stura a una ripresa degli slogan rivoluzionari degli anni 60.
Entrambi sono exploit fuori dalle direttive di Pechino e che hanno dato segnali importanti a tutto il paese. Quest'anno sarà importante vedere se questi atti lo porteranno nel politburo ristretto o alla pensione.
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IL COMPLOTTO DEL '76

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p Nel 1976, dopo la morte di Mao Zedong, il "Grande Timoniere", vennero arrestati quattro tra i principali protagonisti della Rivoluzione culturale, da allora noti come la "Banda dei Quattro".
Ne facevano parte Jiang Qing (nella foto), vedova di Mao e sua quarta e ultima moglie, e tre suoi associati: Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen. In seguito anche Kang Sheng e Xie Fuzhi furono accusati di appartenere alla banda, ma non processati in quanto deceduti prima del 1976.
Esattamente come era accaduto per Lin Biao nel 1971, la Banda dei Quattro fu accusata di preparare un colpo di stato, che sarebbe dovuto passare alla fase escutiva subito dopo il 9 settembre 1976, giorno della morte di Mao.
Nel 1981 i quattro furono processati, accusati di tutti gli eccessi legati alla Rivoluzione culturale e di attività anti-partito. Jiang Qing e Zhang Chunqiao furono condannati a morte (ma la condanna venne in seguito modificata nell'ergastolo), mentre a Yao Wenyuan e a Wang Hongwen furono dati venti anni di carcere.
Nello stesso anno Hua Guofeng passava formalmente i poteri a Deng Xiaoping, che sarebbe rimasto alla guida della Cina fino al 1995. AFP
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Asso di cuori. Xi Jinping, 58 anni, presidente della Scuola centrale del partito, ha studiato economia e legge: arriva al potere quasi come una vendetta contro Mao. Il padre era vice premier e venne deposto nel '62 per presunte simpatie filosovietiche. Fu recuperato poi da Deng e cadde di nuovo in disgrazia nell'87 per avere difeso l'allora segretario del partito Hu Yaobang, deposto per non avere avuto il pugno duro con le proteste studentesche. Hu Yaobang era mentore politico del presidente oggi in carica Hu Jintao.
Xi ha ottenuto la candidatura a presidente dopo un aspro dibattito interno al partito dove ha prevalso la sua linea, quella di "Wenzhou" contro quella di "Suzhou". La linea di Suzhou, città del Jiangsu, era di spinta per l'economia mista, insieme pubblica e privata; quella di Wenzhou, città dello Zhejiang, governato allora da Xi, prevedeva che tutta l'economia dovesse essere in mano ai privati.
Ha fama di duro. Celebre una sua uscita pubblica durante un viaggio in Messico quando esplose contro quegli stranieri "chibao chengde" (più o meno: gonfi di cibo e senza niente da fare) che se la prendono con la Cina quando la Cina sfama un quarto dell'umanità e non esporta i suoi problemi.
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Asso di quadri. Li Keqiang, 55 anni, è il vice premier. Pur non avendo genitori o parenti nell'aristocrazia del partito ha fatto carriera attraverso la gioventù comunista. Come Xi è una delle giovani guardie rosse che, mandate in campagna, riesce a emergere come leader di una brigata di produzione. Nel '78 supera l'esame per entrare nella università più prestigiosa del paese, quella di Pechino, Beida, dove studia legge e non si sottrae alle ventate liberali di quegli anni. Tra i suoi colleghi anche alcuni intellettuali poi finiti tra le file dei dissidenti durante i fatti di Tiananmen nell'89. Dopo i brillanti primi passi della carriera incontra però una serie di coincidenze sfortunate nel suo percorso. È vice governatore e poi governatore della popolosa provincia dello Henan quando scoppia il clamoroso scandalo del sangue infetto di Aids usato per le trasfusioni. Durante la reggenza dello Henan un incendio a Luoyang brucia 309 persone e quando diventa segretario del partito del Liaoning c'è un'enorme esplosione in una miniera di carbone che fa 214 vittime. Anche i nemici però gli riconoscono doti di grande eloquenza, cosa che potrebbe portarlo alla poltrona di presidente del parlamento e non a quella di primo ministro, secondo alcuni. In ogni caso dovrebbe essere il numero 2 del paese.
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Asso di fiori. Li Yuanchao, 60 anni, ha una laurea in Matematica e un master in Legge. È uno dei pochi leader cinesi a parlare bene l'inglese, viene dal lontano Jiangsu e spinge la provincia e la città di Suzhou a diventare tra le più ricche del paese.
Inizia la carriera politica a Shanghai, terra da cui sceglieva i suoi l'ex presidente Jiang Zemin, ma all'interno della gioventù comunista, gruppo preferito dal leader attuale Hu Jintao. Negli anni 90, è benvoluto da entrambi i capi del paese, poi si sposa con la figlia di un alto dirigente del partito. Ha guidato un settore delicato e strategico, quello dell'organizzazione del partito: qui sono preparati i dossier sui membri del partito, cruciali per la scelta di promozioni e bocciature.
Il suo lavoro ha inciso in modo diretto sulla scelta dei membri del prossimo comitato centrale e dei circa 3mila direttori generali che gestiranno il paese nei prossimi anni. Tutti i dirigenti cinesi del futuro sono passati dalle sue mani, per finire nella selezione nella scuola di partito gestita da Xi. Li Yuanchao è arrivato a questa posizione passando per un'esperienza al dipartimento che si occupa di propaganda del partito, della gestione degli affari con l'estero, e al ministero della Cultura.
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Asso di picche. Bo Xilai, 63 anni, è il jolly della partita e visti gli attuali limiti d'età (non si può essere nel politburo se nell'anno del congresso si sono superati i 68 anni) certamente dovrà andare in pensione nel 2017. Anche lui ha i nobili quarti dell'aristocrazia comunista, visto che il papà era uno degli "otto immortali" il gruppetto di anziani e potentissimi sodali di Deng. Laureato in giornalismo, fascinoso, geniale nelle relazioni pubbliche, è uno dei pochi dirigenti che davvero ama il contatto con stampa e pubblico. Al tempo in cui era sindaco di Dalian i tassisti ne cantavano le lodi a tutti i passeggeri che caricavano.
Ma è estremamente controverso: troppo diretto e pieno d'iniziativa per un partito che ama messaggi a mezza bocca e odia chi va sopra le righe. Il suo svantaggio poi, rispetto agli altri tre, è anche quello di non essere troppo legato a Hu e di avere fatto tutto da sé. In questo senso forse è anche il più "occidentale" dei leader cinesi, ma proprio per questo è il più indigesto, e molti pensano che al di là delle indubbie doti di gestione, una sua promozione al politburo ristretto sarebbe una rivoluzione. Di certo se dovesse avere, come vorrebbe, il potente portafoglio della propaganda molte cose potrebbero cambiare nell'immagine della Cina nel mondo.
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08/03/2011
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