Pechino, 18 mar. - "Il mondo starà a guardare": è il monito che il primo ministro australiano Kevin Rudd ha consegnato alla Cina a proposito del processo a Stern Hu e ad altri tre impiegati del colosso minerario Rio Tinto, che si aprirà a Shanghai il prossimo 22 marzo. Il caso era scoppiato nel luglio scorso: i quattro dirigenti - i cinesi Wang Yong, Liu Caikui and Ge Minqiang e il cittadino australiano Stern Hu - erano stati arrestati con l'accusa di spionaggio, successivamente derubricata in corruzione e furto di segreti industriali. Gli arresti erano giunti a circa un mese di distanza dal fallimento dell'acquisizione di Rio Tinto da parte del gigante cinese Chinalco, naufragata soprattutto a causa delle critiche dell'opinione pubblica australiana, intimorita da un massiccio ingresso del Dragone nel controllo delle risorse naturali del paese. In molti avevano sospettato che le accuse rappresentassero una ritorsione da parte della Cina per il fallimento del più grande accordo economico mai tentato all'estero, un affare da 19.5 miliardi di dollari, ma Pechino ha sempre negato qualsiasi collegamento tra le due vicende. "Il processo si svolgerà secondo la legge e secondo gli appropriati regolamenti internazionali" ha dichiarato recentemente il portavoce del ministero degli Esteri Ma Zhaoxu, puntualizzando che gl'imputati sono "pienamente garantiti". Camberra sta chiedendo a gran voce a Pechino la piena ammissione dei propri diplomatici al processo: se le audizioni per le accuse di corruzione si terranno a porte aperte, infatti, la corte di Shanghai ha intenzione di vietare al pubblico quelle relative alle incriminazioni per furto di segreti industriali; un'eventualità che, secondo i funzionari australiani, viola un precedente patto consolare tra Cina e Australia. "Sono stato molto irritato nell'apprendere che potrebbe esserci impedito di assistere a una parte del processo" ha dichiarato il ministro degli Esteri australiano Stephen Smith. Il caso ha immense valenze politiche ed economiche: la Cina è il primo partner commerciale dell'Australia, con un volume di scambi pari a 53 miliardi di dollari nel 2009; nel 2008 Camberra ha venduto a Pechino il 41% delle proprie esportazioni di minerale di ferro per circa 15 miliardi di dollari e l'Australia rappresenta un fornitore fondamentale per un Dragone continuamente affamato di quelle risorse naturali necessarie a sostenere il suo tumultuoso sviluppo economico. Ma l'economia, come la politica, porta a intrattenersi con strani compagni di letto: se recentemente Pechino ha ammorbidito le sue posizioni, attribuendo il fallimento dell'acquisizione alla propria "ingenuità" e all'intensa attività di lobbying promossa dalla rivale anglo-britannica BHP Billiton, Rio Tinto ha recentemente offerto a Chinalco una grossa quota del giacimento minerario di Somandou, in Guinea; i due colossi, inoltre, risultano in trattative anche per un progetto per la raffinazione di bauxite e allumina in Australia e per numerose miniere di rame e oro in Mongo