Prezzi cinesi in retromarcia
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Prezzi cinesi in retromarcia

Prezzi cinesi in retromarcia

Pechino. La parallela discesa del 4,5% per i listini alla produzione solleva il rischio della deflazione
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Sulla Cina rischia di allungarsi l'ombra della deflazione. Nel mese di febbraio, l'indice dei prezzi al consumo è sceso dell'1,6% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, registrando la prima flessione dal 2002. Nel contempo, i prezzi alla produzione hanno accusato una contrazione del 4,5%, la maggiore degli ultimi dieci anni.
I dati sono stati resi noto ieri l'Ufficio nazionale di statistica, che ha precisato come la contrazione del costo della vita sia stata causata in primo luogo dalla flessione dei prezzi di cibo, abbigliamento e combustibili, cioè dei beni che pesano di più nel paniere di riferimento su cui si calcola il tasso d'inflazione.
I prezzi dei beni alimentari, che da soli rappresentano un terzo del paniere, hanno registrato una flessione pari all'1,9% rispetto al mese di febbraio del 2008. Un esempio su tutti: la carne di maiale, la principale fonte proteica della popolazione cinese, il cui forte rincaro un anno fa diventò una delle principali preoccupazioni per il Governo, oggi si può comprare con uno sconto del 19% rispetto ai primi mesi del 2008.
Ma la brusca marcia indietro dell'indice dei prezzi al consumo ha anche altre due spiegazioni. La prima: il confronto con l'anno precedente. A febbraio del 2008, infatti, sulla spinta dell'impennata dei listini di cibo, energia e materie prime, l'inflazione cinese raggiunse l'8,7% toccando il livello più alto degli ultimi 12 anni. La seconda: l'effetto distorsivo del Capodanno lunare. Per questi motivi, ha dichiarato l'Ufficio nazionale di statistica di Pechino, «non abbiamo ancora elementi sufficienti per dire che siamo entrati in deflazione».
Anche gli economisti non sembrano particolarmente preoccupati. «La deflazione dovrebbe avere un carattere temporaneo, poiché il Governo cinese è pronto a intervenire con ulteriori tagli dei tassi d'interesse o con altre misure per sostenere i consumi», dice Jing Ulrich di JpMorgan Chase.
In effetti, la crescita della base monetaria degli ultimi mesi (a febbraio il sistema bancario ha erogato oltre 140 miliardi di dollari di nuovi prestiti, quattro volte il livello raggiunto un anno prima) e la gran massa di investimenti infrastrutturali in arrivo dovrebbero agire presto come anticorpi contro una discesa fuori controllo dei prezzi e contro le sue gravi conseguenze.
Tuttavia, di fronte al crollo delle esportazioni e al ripiegamento dell'industria manifatturiera sul mercato domestico, oggi nessuno può escludere che la Cina possa scivolare in una classica spirale deflazionistica.
In questo caso, l'aspettativa di ulteriori future riduzioni dei prezzi spinge i consumatori a rinviare i loro acquisti e le imprese a rimnadare nel tempo i loro investimenti. Con il risultato che l'economia entra in una fase di stagnazione.
L.Vin.

11/03/2009
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