Di Eugenio Buzzetti
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Pechino, 16 ott. - La Cina si prepara a pubblicare i dati di crescita del terzo trimestre, e tra gli analisti si apre il dibattito sulle stime, già riviste al ribasso per il futuro prossimo da tutti gli organismi internazionali. All'indomani dei crolli di borsa dell'agosto scorso, in molti avevano sollevato dubbi sulla veridicità dei dati provenienti da Pechino: timori dissipati da uno studio di Rhodium Group del mese scorso, nel quale, gli analisti americani confermavano che i dai di crescita pubblicati dall'Ufficio Nazionale di Statistica cinese sono in linea con le pratiche di compilazione di quelli internazionali. Gli ultimi dati ufficiali lasciano però presagire un tasso di crescita tra luglio e settembre inferiore a quello dei primi due trimestri, al 7%, con le importazioni in caduta libera, oltre il 17%, secondo i valori denominati in yuan. Il rallentamento ormai accettato da Pechino sotto l'etichetta di "nuova normalità" della crescita sarà strutturale alla trasformazione economica della Cina.
Ieri il primo ministro Li Keqiang ha parlato apertamente di "nuova rivoluzione industriale" che il Paese dovrà vivere nei prossimi anni, combinando insieme la strategia "Internet plus" lanciata a marzo scorso, con la spinta all'innovazione tecnologica del manifatturiero, fino a un uso più intensivo della robotica nei distretti industriali più moderni, come quelli del Guangdong. Un obiettivo molto ambizioso per gli analisti, che porterà la Cina a diventare un gigante della produzione, secondo gli auspici del piano "Made in China 2025", ma che richiederà diversi anni di lavoro e che sull'immediato potrebbe non dare i frutti sperati.
In attesa dei frutti della politica di ammodernamento dell'apparato industriale, l'economia cinese deve fare i conti con i rischi di sistema a cui è sottoposta. La crescita cinese sarebbe pesantemente sbilanciata, oggi, a livelli più alti addirittura dei tempi di Mao: secondo Ha Jiming, Chief Investment Strategist per la Cina di Goldman Sachs, durante il Grande Balzo in Avanti, tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, la Cina aveva una quota di investimenti in infrastrutture inferiore a quella dello scorso anno, quando contavano per il 46% del prodotto interno lordo. Oggi, ha spiegato il dirigente della banca d'affari americana, è fondamentale per la Cina affrontare il rischio della deflazione, della sovrapproduzione e dei prestiti a livelli eccessivi. Per gli analisti di Bloomberg, il dato della crescita per il terzo trimestre potrebbe essere del 6,7%; ancora più pessimiste le stime degli analisti di Ubs, che fissano la crescita cinese tra luglio e settembre al 6,6%.
Non tutte le previsioni sono pessimiste. In controtendenza rispetto alla linea generale di aggiornare al ribasso le stime c'è Mark Mobius, vice presidente esecutivo di Franklin Templeton Investments, secondo cui la Cina è pienamente in linea con l'aspettativa di raggiungere entro fine anno l'obiettivo del 7% di crescita. Nelle stime di Pechino non si terrebbe conto di gran parte del reddito generato dai servizi, che dal 2013 costituiscono la voce principale del prodotto interno lordo. La difficoltà, per Pechino sarebbe calcolare effettivamente l'incidenza del settore su dato finale del pil: altri indicatori della ricchezza nazionale avrebbero poi mostrato segnali positivi, su cui costruire anche il rimodernamento della crescita. Altri due dati di questa settimana, provenienti da organismi internazionali, confortano la Cina. Secondo l'ultimo Hurun Report, la Cina ha superato gli Stati Uniti per la prima volta per numero di miliardari nel Paese, e secondo l'ultimo Global Wealth Report di Credit Suisse, la classe media cinese sarebbe superiore a quella americana: oggi i cinesi benestanti sono 109 milioni contro i 92 milioni di americani. Pechino conta per il 10% della ricchezza globale e secondo le prime stime, entro il 2020, il numero di milionari nel Paese potrebbe arrivare a 2,3 milioni.
16 OTTOBRE 2015
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