Pressione fiscale, renmimbi e burocrazia: la Cina sta diventando sempre più cara
Aumento dei costi di mantenimento e di gestione che vale in particolare per alcuni tipi di strutture, quali l'ufficio di rappresentanza, molto utilizzato tra le Pmi proprio per le attività di assistenza al sourcing, controllo qualità e ricerca clienti. Dai primi mesi del 2009 in avanti, infatti, questo tipo di veicolo ha sofferto un accanimento da parte delle diverse autorità per scoraggiarne l'utilizzo. Il proliferare di questi veicoli d'investimento negli ultimi vent'anni, e il loro uso a volte improprio, ha spinto le autorità locali a rafforzare i controlli, a discapito delle tante Pmi oneste.
Gli uffici di rappresentanza in Cina non necessitano di capitale a garanzia ma, in quanto semplici centri di costo con mansioni di mera assistenza, senza la possibilità di fatturare direttamente, sono semplicemente finanziati dalla casa madre in base alle necessità della gestione quotidiana. Se l'attività in questione consiste nella gestione di due o tre impiegati locali, di un manager straniero con contratto locale, e una spesa totale tra sei e diecimila euro mensili, l'ufficio di rappresentanza rimane la struttura più leggera ed economica per operare in Cina. Questo malgrado gli aumenti della pressione fiscale per tali soggetti, dall'8,6% a quasi il 12% sul totale dei costi mensili e al moltiplicarsi della burocrazia richiesta per rinnovi di licenza e revisioni fiscali, obbligatori per mantenersi in regola. I più colpiti sono stati gli uffici di rappresentanza di quelle realtà produttive che fino alla riforma di cui sopra godevano addirittura di un esonero dell'imposta. Se a questo aggiungiamo il rafforzamento del renminbi sull'euro negli ultimi 10 mesi, possiamo stimare un incremento negli ultimi tre anni del 40-50% dei costi operativi annui.
Alcune aziende, soprattutto quelle con attività in espansione o che devono sostenere costi relativamente alti, hanno profittato di questi cambiamenti per ristrutturarsi, registrando una vera e propria filiale in territorio cinese che permette di scaricare i costi ed essere tassati solo sugli utili. La registrazione di società in Cina rimane comunque complessa, sebbene i requisiti di capitale minimo siano relativamente bassi, tra i 500mila yuan e il milione, per società con licenza di import-export e vendita sul territorio cinese. Il mantenimento di tale struttura implica inoltre la presenza di personale manageriale e di un continuo confronto con autorità quali dogane, uffici imposte e dipartimento per la sicurezza.
L'aumento dei costi in atto in Cina non sembra destinato a rallentare. Nel survey cui hanno risposto 125 aziende italiane localizzate nel Guangdong, l'aumento dei costi in rapporto alle vendite risulta essere la seconda maggiore preoccupazione per le aziende, seconda solo alla paura di una nuova recessione globale. La domanda alla quale bisogna però rispondere è se vi sia al momento alternativa al Guangdong, ai suoi distretti industriali e alle infrastrutture di prim'ordine, che ne fanno il cuore della produzione mondiale di una lista infinita di beni e servizi legati a doppio filo con l'Italia quali scarpe, ceramica da bagno, elettrodomestici, mobili, elettronica e accessori moda. È qui che molte Pmi italiane vendono infatti pelli, macchinari, design, oppure producono componenti che vanno poi integrati alla produzione fatta in Italia, o comprano materiale ormai fatto tutto in Cina, ma di cui l'azienda italiana mantiene per lo meno i marchi e i canali di vendita.
Dezan Shira & Associates
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23/02/2012