PRESIDENZIALI USA VS. SUCCESSIONE CINA: LE REGOLE DEL GIOCO

PRESIDENZIALI USA VS. SUCCESSIONE CINA: LE REGOLE DEL GIOCO

di Eugenio Buzzetti e Antonio Talia



Pechino, 16 mar.- Autunno 2012: un completo rimescolamento ai vertici del potere mondiale. Nel giro di poche settimane, tra ottobre e novembre, conosceremo il nome del nuovo Presidente degli Stati Uniti e i volti della leadership che guiderà la Cina per i prossimi dieci anni.

 

Mitt Romney, Rick Santorum e Barack Obama sono sottoposti all'onnipresente scrutinio dei media: il meccanismo di primarie e presidenziali è chiaro, democratico, definito.

 

Figure come Xi Jinping e Li Keqiang,invece, occupano poco spazio su network e giornali: troppo esotici i nomi, troppo misteriosi i meccanismi di successione ai vertici di Pechino.

 

Ma con l'esplosione del caso Bo Xilai - il potente segretario del PCC di Chongqing che fino alla sospensione di ieri sembrava proiettato verso i massimi livelli del potere cinese - la sfida per il potere svela nuovi scenari.

 

La corsa per la Casa Bianca e quella per Zhongnanhai, il "Cremlino cinese", si svolgono in parallelo, negli stessi mesi.

 

Ecco una piccola guida, tra somiglianze e differenze, per capire perché la successione al vertice in Cina è altrettanto importante -e avvincente- delle presidenziali americane.

 

LA POSTA IN GIOCO: PRESIDENZA USA VS. COMITATO PERMANENTE POLITBURO

 

Chi vince le elezioni americane diventa Presidente degli Stati Uniti, massima incarnazione del potere esecutivo nel sistema americano.

 

A Pechino la questione è un po' più complicata: per evitare spaccature interne, dagli anni Novanta, il Presidente della Repubblica popolare cinese è anche segretario del partito e presidente della Commissione militare centrale.


Questa figura a sei braccia come una divinità buddhista
, ovviamente, non viene eletta. Quando si riunirà, tra ottobre e novembre, il Diciottesimo Congresso del Partito Comunista Cinese esprimerà il nuovo segretario, che diventerà - con una nuova ratifica - anche presidente e capo dell'esercito.

 

Su questo fronte - a meno di sorprese clamorose che aprirebbero le porte a una gravissima crisi - è già tutto definito : Xi Jinping, attuale vice presidente della Rpc, sarà promosso a segretario del Pcc, occupando poi le altre cariche.

 

Fine dei giochi? Se fosse così, la successione al potere in Cina non può affatto competere con le presidenziali Usa: cosa c'è di entusiasmante in una ratifica a porte chiuse capace di rivaleggiare con una serrata competizione tra candidati?

 

La risposta è: Comitato Permanente del Politburo.
Il cuore del potere, il gotha del Partito comunista cinese è attualmente composto da nove uomini, di cui sette –se la prassi viene rispettata- andranno in pensione per lasciare spazio a una nuova generazione di leader.

 

Ed è esattamente qui che si gioca la competizione, una corsa a ostacoli tra funzionari ambiziosi per mettersi in luce, guadagnare quanto più consenso possibile tra le diverse anime del partito, fare lo sgambetto agli avversari: chi siede al Comitato Permanente ci arriva per un gioco delicatissimo di equilibri tra componenti differenti, costrette a remare insieme per mantenere l'unità del partito.

 

Equilibri che una figura come Bo Xilai stava scavalcando, conquistando celebrità tra il popolo a scapito delle complesse alchimie che si distillano dietro le quinte.

 

CAMPAGNA ELETTORALE VS AUTOPROMOZIONE

 

"Sì, è certamente possibile che la campagna di auto-promozione lanciata da Bo Xilai abbia ricordato ai top leader di Pechino la personalizzazione delle primarie, o delle presidenziali Usa" dice ad AgiChina24 Chung Chien Peng, associate professor presso la facoltà di Scienze Politiche della Lingnan University di Hong Kong, studioso della politica interna cinese.

 

"Non c'è dubbio che il sistema politico cinese sia completamente diverso da quello americano - prosegue Chung - e io credo che Bo Xilai sia stato sospeso soprattutto per il suo stile, per il suo tentativo di auto-candidarsi da solo al Comitato Permanente. Con la spinta del suo programma di ultrasinistra e le sue attività anticorruzione, Bo stava trasgredendo a una prerogativa che spetta solo ai leader del Partito, cioè selezionare il nuovo gruppo dirigente".

 

Mentre Mitt Romney, Rick Santorum e gli altri repubblicani combattono le primarie a colpi di dichiarazioni e tour elettorali, Bo Xilai stava correndo le "sue" primarie, senza regole.

 

Ma se la presidenziali americane ci hanno abituato agli "scavafango", figure che tirano fuori tutti gli scheletri nell'armadio dei candidati, gli scandali abbondano anche nella corsa a ostacoli verso il Comitato Permanente, e quello di Bo Xilai è solo  il più eclatante venuto alla ribalta.

 

INTRIGHI E COLPI BASSI, DA WASHINGTON A PECHINO

 

Mitt Romney? Un "capitalista avvoltoio" che versa solo il 15% delle tasse e mantiene i suoi patrimoni alle Isole Cayman. Newt Gingrich? Un donnaiolo impenitente che intreccia relazioni multiple. Per non parlare delle voci sulla presunta fede musulmana di Barack Obama, alle quali in Stati come Mississippi e Alabama crede la maggioranza degli elettori republicani. Durante le presidenziali Usa non si risparmiano i colpi sotto la cintura.

 

In Cina, per distruggere un avversario politico sono state impiegate tattiche di ogni tipo. Come, ad esempio, il caso di Chen Liangyu – segretario del partito di Shanghai, anche lui come Bo Xilai proiettato verso un ruolo nazionale di primo piano - che nel 2006 è stato sospeso e buttato fuori dal Politburo per una malversazione da miliardi di yuan. Oltre alla corruzione, secondo gli osservatori, Chen pagava anche la sua vicinanza a Jiang Zemin e alla fazione della "Cricca di Shanghai", avversari giurati del presidente Hu Jintao.

 

O ancora, le voci di defezione negli Stati Uniti che circondarono per 24 ore nell'estate del 2010 il governatore della Banca centrale Zhou Xiaochuan, forse alimentate dal suo rigore nel perseguire quelle amministrazioni locali che stavano accumulando debiti enormi con gli istituti di credito.

 

Il caso Bo Xilai, però, è un vero punto di svolta: "Per 20 anni tra le fila del partito c'è stato un accordo tacito: mai lasciare trasparire all'esterno le lotte tra fazioni. Ma il modo in cui lo scandalo è emerso ed è stato gestito potrebbe significare che questo patto non esiste più" ha dichiarato al "Christian Science Monitor" Zhang Jian, docente di Scienze Politiche alla Peking University.

 

Secondo un supersperto come il professor Cheng Li della Brooking Institution, ci sono quattro leader con un posto più o meno assicurato al Comitato Permanente: Liu Yuanshan, l'uomo della propaganda, il vicepremier Wang Qishan, il capo del dipartimento organizzazione Li Yuanchao, e infine Zhang Dejiang, il funzionario che ha preso il posto di Bo Xilai a Chongqing.

 

Fatto fuori Bo Xilai, rimangono tre poltrone e almeno sette persone in corsa. Per capire chi sono, vediamo qual è la versione cinese degli "swinging states".



"SWINGING STATES" VS. "PROVINCE MODELLO"



Wang Yang, segretario del partito della provincia del Guangdong, è stato a lungo considerato il grande avversario di Bo Xilai. Due stili opposti, due modelli differenti: da un lato il revival maoista di Bo, le campagne anticorruzione condotte con metodi da Rivoluzione Culturale, il presunto tentativo di ridurre la forbice tra ricchi e poveri. Dall'altro, un approccio soft nel gestire le proteste contadine e un certo "liberismo" di fondo per consentire maggiore iniziativa privata a scapito delle società di Stato.

 

Il "modello Guangdong" ha vinto contro il "modello Chongqing"? Il prossimo Comitato Permanente sarà più spostato verso le politiche di mercato?

 

Tutto ancora da vedere. Voci, voci, voci: secondo il New York Times, ad esempio, alcuni ambienti dell'ultrasinistra, ancora forti, potrebbero chiedere la testa di Wang e bloccare la sua corsa come compensazione per la caduta di Bo Xilai.

 

Gli altri possibili candidati sono il segretario del partito di Shanghai Yu Zhengsheng ("principe rosso", ma in economia a cavallo tra "liberisti" e "moderati" attenti ai più poveri), il segretario del partito di Tianjin Zhang Gaoli (professore di economia, probabilmente vicino ai "liberisti"), e il segretario della Mongolia Interna Hu Chunhua (carriera dentro la Lega Giovanile Comunista, uomo di Hu Jintao, posizione di mediazione tra "liberisti" e "ultrasinistra").

 

Se nelle presidenziali Usa esistono gli "Swinging States", stati come Ohio e Florida dove non è chiaro fino all'ultimo voto se a prevalere saranno i repubblicani o i democratici, in Cina ci sono le province ago della bilancia, che possono consentire a un funzionario di arrivare al vertice del potere.

 

I funzionari vengono fatti ruotare da provincia a provincia per evitare la creazione di potentati locali, ma ognuna di esse ha caratteristiche e problemi propri, che il leader deve dimostrare di saper gestire, guadagnando allo stesso tempo il consenso tra le varie fazioni: si va dal Guangdong (ricco e industrializzato) alla Mongolia Interna (diventata ricca grazie alle miniere di carbone), dalla municipalità di Tianjin (porto commerciale di Pechino, feudo dell'attuale premier Wen Jiabao) a Shanghai, la capitale dell'economia cinese che ambisce a diventare un centro finanziario.

 

A chiudere la carrellata di "candidati", l'uomo forte degli apparati di sicurezza Meng Jianzhu, il capo dell'Ufficio Generale Ling Jinhua e Liu Yandong, tra i membri più influenti del Consiglio di Stato.

 

ULTIMO MIGLIO PRIMA DEL TRAGUARDO


Mentre Mitt Romney e Rick Santorum si combattono per guadagnarsi il trono di sfidanti di Barack Obama, questi funzionari cinesi si danno battaglia per arrivare al vertice del potere nella seconda economia mondiale, la nazione più popolosa del pianeta.

 

Mentre il candidato repubblicano sfiderà Obama, ognuno di questi leader cercherà di farsi strada, evitando di fare la fine di Bo Xilai.

 

Negli Usa: sfida tra due candidati per la poltrona di uomo più potente del mondo.

 

In Cina: tre posti ancora da assegnare per sette sfidanti. Una corsa in cui- dopo il caso Bo Xilai- può ancora succedere di tutto.

 

In autunno sapremo ogni cosa del nuovo Presidente degli Stati Uniti, il suo programma, cosa pensa della politica estera, cosa fa la sua famiglia, perfino il suo piatto preferito e che musica ascolta nell'iPod.

 

Possiamo permetterci di non sapere niente di chi guiderà la Cina, la nuova potenza in ascesa?

                           

@Riproduzione riservata